Apparizione Madonna di Termine

o delle Trache

- Attorno al 1291 -

Pentone (CZ)

Santuario Maria Santissima di Termine.

Secondo una antica trazione che per noi pentonesi e cattolici ha un valore di storia, la SS.Vergine delle Grazie apparve in un bosco ad una contadinella, di nome Maria Madia, alla quale disse: "Qui è la mia dimora, qui dovrà rimanere la mia immagine". Il fatto prodigioso commosse l’animo dei nostri padri che sul luogo dell’apparizione costruirono prima un'icona e in seguito un Santuario. Dovendo dare notizie storiche esatte, noi non possiamo né fornire la data del miracolo, né affermare quando ebbe inizio il Culto della Madonna di Termine; le notizie in nostro possesso sono frammentarie e, spesso, anche contraddittorie. In margine ad un vecchio documento (piano di Fuscaldo) conservato nel mio archivio ho trovato annotato: "la chiesa Rurale (di Termine) fu innalzata a cappella a dì 1291 e dette (?) carte si trovano al Grande Archivio".

Le ricerche consigliate da queste indicazioni sono rimaste infruttuose, perché, purtroppo, i documenti del '200 del Grande Archivio di Napoli andarono in gran parte distrutti durante l’ultimo conflitto. Nella Galleria delle Carte
Geografiche del Vaticano (carte dipinte su pareti nel '500 da Antonio Danti, su indicazione del suo fratello, il Domenicano Ignazio Danti) si può osservare che vicino al paese chiamato Pentone è disegnato un altro paese suppergiù della stessa grandezza, detto Termane. E il paese Termane appare anche nelle carte Geografiche ulteriore eseguita da Magini nel 1602. Finora, però, non è stato trovato alcun rudere né abbiamo altri elementi che confermano le indicazioni di dette carte. In tutti i modi l’esistenza nel '500 di un abitato nella località Termine non toglie il valore alla tradizione secondo la quale la SS.Vergine sarebbe apparsa a Maria Madia in un bosco. Dai documenti del '700 riguardanti il Santuario, si può infatti rilevare con sicurezza che il loco detto le Trache dove si trovava la Filiare Chiesa di Santa Maria delle Grazie è il loco detto Termine non indicano lo stesso luogo ma due località diverse e piuttosto distanti l’una dall’altra. Le ricerche sull’origine del culto della Madonna di Termine saranno continuate, e speriamo con migliore fortuna.

Nella presente trattazione riferiamo le notizie sicure e documentate, che ci è stato possibile finora raccogliere.

http://www.parrocchiapentone.it/home/madonna.asp

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“La Madonna di Termine”

BREVE STORIA

1923

Società Editrice Calabrese

CATANZARO 

INTRODUZIONE 

I.

Un contributo notevolissimo, e per molti sensi imprescindibile, reca allo studio del popolo italiano la conoscenza della sua storia religiosa dalle più alte alle più umili manifestazioni. La quale, in Italia, o è del tutto trascurata, o, quando non lo è, vien circoscritta ai fenomeni di eccezionale importanza, come se le vicende del nostro popolo – politiche, economiche, morali – non avessero nessun rapporto con la religione. Errore, codesto, che allontana gli studiosi dell’anima del popolo italiano, la cui formazione è per più di tre quarti – numericamente e qualitativamente – d’indole essenzialmente religiosa e cattolica. Studiando i testi più accreditati della nostra storia, ad es. del nostro riscatto nazionale, difficilmente si avverte negli autori il chiaro concetto che questo elemento ha nella valutazione degli avvenimenti, come causa determinante, spesso, di atteggiamenti collettivi. La lacuna è certamente grave e andrebbe colmata. Ma è ancora più grave il perpetuarsi di questo indirizzo e il relativo abbandono in cui son tenuti dagli studiosi gli avvenimenti religiosi, dico meglio, la storia religiosa del nostro popolo, che è una miniera inesauribile, per vastità e varietà di quel complesso e mutevole atteggiamento dell’anima popolare nella osservanza del culto. Una cosa è certa, e la notava acutamente Giustino Fortunato: che in mezzo alla disparità dei fattori che allentarono la fusione fra Nord e Sud, ritardandone il fondamentale processo unitario, un solo fattore è stato e resta comune: quello religioso. Cattolica è tutta l’Italia, ed in questa fede soltanto settentrionali e meridionali trovarono il vero termine comune, che rese meno duri i contrasti economici, politici ecc., tuttora vivi. Che se per mala sorte una diversa fede avessero avuto questi due tipi nazionali, oh davvero non si può dire se il «tipo» italiano, unico nel Nord e nel Sud, sarebbe possibile.

II

A me sembra, dunque, d’alto interesse nazionale lo studio delle manifestazioni religiose del nostro popolo. Ed è anche per ciò che ho aderito a tracciare queste brevi pagine storia, che segue, d’una Madonna alla quale pensano con ardore tante popolazioni circostanti a Catanzaro, e per la quale hanno tenerezze, propositi, devozioni, che non possono non influire, poi, nelle manifestazioni di altra natura. L’uomo non si sdoppia: tende naturalmente verso l’unità, come i corpi tendono al centro della terra.

Se d’ogni borgo e d’ogni santuario noi possedessimo una pagina che ne descrivesse la storia religiosa in ciò che ha di culminante, e, tutte insieme, le esaminassimo per trarre poi la necessaria sintesi, chi sa che molti dei nostri giudizi sul popolo italiano non dovessero essere mutati? Abbiamo sostituito alla provincia il centro urbano, parassitario, dissanguatore, ingeneroso; e la storia s’è per noi svolta nelle città, come se queste non venissero sfamate dal tenace lavoro della provincia, che chiede poco e dona tutto. Non sarebbe ora di tenere nel debito conto anche gli oscuri artefici della ricchezza nazionale, la quale non si misura soltanto con la tabella dei cambi, a tonnellate e a sterline, ma anche in ragione delle energie morali che possiede, occulte o palesi che siano? Quando le nazioni hanno bisogno di sacrificio, si rivolgono alle masse della campagna, che sono corrotte e irrobustite nella fatica, nella frugalità, nell’onestà. Non si rivolgono alla città, che distrugge, perché essa ha debole fibra morale,anche se possiede molte organizzazioni tecniche. E chi all’Italia, se non la provincia, ha dato le necessarie energie morali per vincere la guerra recente? 

I borghi, dove il contado e l’artigianato si raccolgono ogni domenica nella chiesa per ascoltare il Vangelo, si sono vuotati. E nelle chiese, le donne han continuato a pregare; ed hanno avuto forza per sostenere anche la loro dura battaglia economica. Ed hanno vinto! Guai se questi centri di purificazione, di resistenza, di forza, venissero meno! Guai se l’amore per Gesù e per Maria venisse strappato dall’anima nostra! Non solo la nostra esistenza di anime anelanti la luce di Dio, ma la nostra esistenza materiale, in ciò che ha di più meccanico, sarebbe improvvisamente spezzata, e ricadrebbe nel caos.

III 

Questi ed altri pensieri si svolgono nella mia mente risalendo da Catanzaro l’erta via maestra, fiancheggiata di vigne e di uliveti, che conduce a Pentone. L’automobile, nella sua affannata corsa dopo Pontegrande, a mano a mano che raggiunge quote più alte, ci reca fra le montagne ricoperte di verde, di castagni che rivestono l’erme pendici e la valle, ampia e profonda, che apre i suoi fianchi ammantati anch’essi d’un verde che dà le più strane sensazioni. Più si sale e più acuto si fa il desiderio di salire. Il verde e il silenzio, che dominano d’intorno, danno un così spiccato contrasto al rumore sforzato della macchina, che questa sembra un anacronismo così stridente da suscitare un amaro sarcasmo. “ Và, brutto motore – pare che dica l’anima assetata di verde, tutta presa dal mistico silenzio della montagna e della valle, và fra le tue città affumicate, che io ho bisogno di salire, qui, a piedi, sola con l’infinito, sola con la natura multicolore: - panoramica se alzo gli occhi, raccolta nella più calda intimità se li fisso in un angolo, sotto un castagno o verso un cespuglio -; perché, o brutto strumento d’una civiltà che costruisce per distruggere – così soltanto, in questo colloquio sinfonico dello spirito, io posso comprendere la grandezza di Dio! “

E più si sale, più si vuol salire! La Madonna del Termine, ch’io vado a cercare, ha voluto, anche qui, la montagna per avere l’azzurro, il verde e lo spazio a corona, a piedistallo e a scenario. Sempre così: in alto!, perché la fede si raggiunge con la fatica dell’ascesa. Il sasso – storico da Omero a Manzoni – che precipita dal monte, quando giunge a valle “ batte sul fondo e sta “ ! Ora se l’anima dovesse, restando nella valle, raggiungere la fede, come potrebbe essa ascoltare l’armonia del divino e cantare la sua gioiosa laude a Dio? In alto, dunque, di gradino in gradino, per rialzarci da ogni caduta, ringiovanire ad ogni ferita mortale, e farci più belli ad ogni macerazione di carni!

La Madonna ci aspetta! 

v. g. g.

***

LA MADONNA “ DI TERMINE “ 

La Madonna delle Grazie, là dove vuole che il suo culto maggiore, inizia la sua opera redentrice con un dono che fiorisce su gli sterpi, illumina nella notte, gorgoglia dove la sorgente è disseccata. Il popolo – che ha l’anima semplice, pronta all’intuizione, più vicina a Dio – sa questa predilezione di Maria e tesse per Lei le sue tele miracolose, che sanno di leggende e che per ciò portano più vivo il segno della schietta poesia. Anche al Termine, la Madonna offrì l’argomento poetico e leggendario al suo popolo. Le montagne inaccessibili che circondano Pentone; il fondo misterioso e pauroso che le avvolgeva per le gesta brigantesche dei suoi selvaggi abitatori, contribuirono fortemente a rendere i luoghi suscettibili del ricamo fantastico popolare, e quindi a creare quella leggenda – o miracolo – da cui trae origine il culto per la Madonna delle Grazie, o più semplicemente del Termine o delle Trache. 

La contrada

Ci siamo chiesti perché la contrada ha la denominazione del “Termine” o delle “Trache”?. Il breve tempo a nostra disposizione per tracciare queste note non ci ha consentito una indagine storica accurata, che, forse, ci avrebbe condotti a delle conclusioni precise. Tale indagine faremo in seguito per una edizione più completa di questa breve storia. Tuttavia i luoghi ci suggeriscono una spiegazione se non documentata, certamente assai probabile. Secondo noi la contrada ebbe nome di “Termine” in quanto, per la sua struttura topografica, segnava il “limite” dell’accesso ordinario alle popolazioni circostanti. Questa interpretazione viene poi avvalorata dal secondo nome di “Trache”. La parola, se non erriamo, ha una origine greca e ci sembra, con assai probabilità, ch’essa deriva da trakhùs, che significa “scabroso” “roccioso”, donde il nome di “Trache”, di luogo, cioè, assai difficile all’accesso. E che tale debba essere il suo significato, emerge da una rapida osservazione dei luoghi, i quali, anche oggi che la strada carrozzabile li circuisce, si presentano nella loro massiccia, irregolare e spesso paurosa struttura. Là dove gli uomini potevano giungere senza pericolo – al “Termine”, cioè, dell’accessibile e dell’inaccessibile, dell’umano col selvaggio, della luce con la tenebra – la Madonna volle, con la sua Grazia, porre un segno verso cui,dall’alto inaccessibile delle montagne fitte di agguati e di belve, e dal basso dove gli uomini vivono la loro vita grama, contorti dalle passioni che li allontanano da Dio, almeno per un attimo – nell’ascesa e nella discesa verso la Luce – le creature si congiungessero nella speranza.

Leggenda o Miracolo?

Noi non possediamo gli elementi per documentare la veridicità di quanto si narra su la origine del culto della Madonna del Termine. Per noi cattolici non ha grande importanza tale ricerca. Tuttavia è ormai accettato che anche le più strane leggende custodiscono un fondo di verità e sono come rivoli che conducono alle sorgenti della verità e della storia. D’altra parte la non lontana origine del culto della Madonna del Termine dà una prova dell’attendibilità di quanto si afferma. Del resto leggendario o storico, l’origine del culto della Madonna del Termine, per noi ha integri i caratteri della Grazia divina. Perché se anche il solo amore del popolo, anelante verso Dio e assetato dal dolce sguardo di Maria, ha creato l’elemento di cui trae vita il culto che dopo circa due secoli, si osserva con crescente fervore, chiaro emerge l’intervento divino per affrancare la fede di tante anime. D’altro canto le grazie che abbondantemente la Madonna ha sparso e spande dalla vetta del suo piccolo Santuario d’amore, sono segni così manifesti che ci dispensano da una discussione più storicamente persuasiva. Si narra dunque – e tutti possono raccogliere la pia leggenda dalla parola semplice e convinta dei popolani, che la ripetono quasi con gli stessi accenti – che una giovinetta di costumi angelici, Maria Madia da Pentone, si recò, in tempi che non sappiamo precisare, ma che si aggira intorno al 1291 – al suo poderetto denominato Garcea. Era di autunno. Il verde caratteristico dei luoghi, che dà, nell’estate, quasi le vertigini, così è intenso, era quasi scomparso. Gli alberi perdevano a poco a poco il loro carico del loro fogliame. E la cintura montagnosa era fatta meno severa nel suo silenzio spettrale, dal sole, alto, che l’inondava.

La valle ampia, profonda,misteriosa, aveva riflessi d’oro. La fanciulla, ritornava, intanto, affaticata dal carico pesante che portava, finché, giunta al punto dove oggi sorge il piccolo Santuario, sostò per riposare. Era quasi il mezzogiorno. La giovinetta, stanca, ebbe fame, e pregò la Madonna perché la facesse presto giungere alla sua casetta. Ma, oh sorpresa! Al suo fianco, vede un pane fresco e bianco… Meravigliata, guarda intorno: nessuno! Afferra il pane, l’osserva, l’ammira: una gioia nuova invade l’anima sua quasi rapita in estasi.

Quand’ecco, verso lei muove una Signora, bella, luminosa, che sorride. Smarrita, la fanciulla tende le mani e chiede:

- chi siete, o Signora bella? Siete stata voi a lasciar qui questo pane? -

Ed ella:

- Io sono la Madonna delle Grazie, e sono venuta per darti aiuto e sfamarti. Asciuga il tuo sudore con questo panno di lino, e portalo a casa tua. Bada di non lacerarlo e di consegnarlo al tuo Parroco che lo depositerà in Chiesa… -

E la visione disparve.

Rimasta per un pezzo quasi fuor di sé per l’intensa emozione, la giovinetta quando riacquista le forze corre intorno piangendo e invocando la Signora Divina. Ma non c’è più. Un attimo, ed è scomparsa più rapida d’un bel sogno dell’alba. Ed ecco, in un roveto, vede un quadro: è l’immagine della Madonna col Bambino in braccio. Lo afferra, lo bacia, la stringe al seno, e poi, colta da una frenetica gioia, avvolto nel lino bianco, ritorna verso casa. La stanchezza è scomparsa. Il pane della Madonna la sazia. E, lacrimando e cantando, scende, col suo tesoro stretto al seno, verso il villaggio a portare la buona novella.  

Il quadro, dopo il racconto della giovinetta, consegnato al Parroco del tempo, dopo benedetto, viene posto alle pareti d’una cappella della Chiesa di Pentone. Ma quale la sorpresa del buon curato quando, il mattino seguente, recandosi per celebrare il sacrificio della Santa Messa, non vede più il prezioso quadro della Madonna. Gli sorge il sospetto che l’abbia sottratto la giovinetta Maria Madia; ma questa, chiamata, giura di non averlo ripreso; e ritorna amaramente lacrimando alla sua casetta, dove, per otto giorni, resta chiusa a pregare. Un mattino,di buon’ora, ritorna alla sua campagna. E quando giunge al luogo dove aveva avuta la divina apparizione, quant’è grande la sua sorpresa nel vedere il quadro scomparso nello stesso roveto in cui lo aveva trovato la prima volta. E a lei, tremante di gioia, la Madonna appare di nuovo e le dice: -questo, o Maria,è il luogo della mia dimora, e qui deve restare il quadro della mia Immagine. Qui un giorno sarà eretto un Santuario, e da questo luogo dispenserò grazie a quanti verranno a invocare il mio aiuto…  

La divina visione tenne in lunga estasi l’angelica giovinetta, che fece ritorno al paese col lieto annunzio, portatrice fortunata del verbo misterioso di Maria delle Grazie alle popolazioni aspettanti sotto il fardello dei loro peccati. Un segno così vivo, ormai esigeva l’obbedienza, e il Parroco fece costruire al luogo indicato dalla giovinetta un’icona, dove il quadro venne collocato fra il delirante entusiasmo dei pentonesi. I quali, d’allora in poi, nella seconda domenica si settembre, vi si recano costantemente per onorare Maria delle Grazie.

Lo sviluppo del culto 

Il crescente amore per la Madonna, che, dal luogo, venne chiamata del Termine, suggerì l’edificazione d’una minuscola chiesetta là, dove su un gran sasso, sorgeva l’icona; e vi fu annesso un piccolo ricovero, che, secondo le voci giunte sino a noi, che sono molto attendibili, fu spesso asilo di briganti. 

Più tardi, dal 1759 al 1762, il Parroco del tempo, Don Francescantonio Capilupi, ed i procuratori D.Carmelo Merante e D.Giuseppantonio Colao, provvidero al miglioramento ed all’ingrandimento della chiesetta, che divenne così l’attuale Santuario. Il quale sorge a cavaliere di due montagne, dove, anticamente, si ascendeva per un sentiero sassoso e scosceso. Il popolo racconta ancora con un senso di misterioso timore gl’incontri che colà gli abitanti di Pentone, recandovisi, ebbero con i briganti, allora così numerosi nelle montagne silane e quasi in tutti i luoghi boscosi della Calabria. E molti additano i punti dove alcuni s’incontrarono con Giosafatte Talarico – il famoso brigante che, se sparse il terrore, seppe anche farsi circondare da un’aureola di generosità e di cavalleria. Talarico si recava sovente al Santuario di cui fu un benefattore. Anzi egli teneva a far conoscere la sua devozione alla Vergine delle Grazie, alla quale – dice il popolo – si rivolgeva per aiuto nelle sue imprese brigantesche(!). il terrore che il Talarico destava nelle popolazioni può dedursi dal racconto dell’uccisione d’una vacca consumata sul pavimento della Chiesa dagli affiliati del Talarico stesso.

La macchia che non si cancella 

Si racconta dunque che un giorno i feroci compagni portarono a Giosafatte una vacca e come feroci pagani, l’uccisero sul pavimento del Santuario. Ma la Madonna, per dare un monito ai fedeli e agl’infedeli, lasciò impressa sul violato pavimento le impronte della bestia uccisa, le quali, nonostante le ingegnose prove per cancellarle, attestano ancora oggi della grandezza di Maria. Probabilmente – si afferma – quelle macchie di sangue, che così vivamente ritraggono l’abbassamento dell’umanità nella bestialità, scompaiono nel momento in cui, il giorno della festa, la Madonna rientra in chiesa dopo il fantastico suo giro per le montagne che ricingono il Santuario.

Il decreto di Ferdinando di Borbone 

Con decreto 7 aprile 1846, il re Ferdinando di Borbone concesse al Comune di Pentone la facoltà di tenere per tre giorni, nella ricorrenza della festa della Madonna del Termine, l’annua fiera, incominciando dal venerdì precedente la seconda domenica di settembre; donde rileviamo che già sin d’allora il culto per la Madonna aveva acquistato uno sviluppo assai notevole non solo nel Comune di Pentone, ma in tutti i paesi circonvicini, che tendevano alle Trache come verso un punto di annodamento e di salvezza. Del resto i miracoli della Madonna, così frequenti e così evidenti, non potevano non esaltare nell’adorazione della Sua Grazia le popolazioni. Le pareti del Santuario sono fregiate dei segni dei miracoli. I devoti beneficati hanno lasciato nel Tempio i simboli dell’intervento divino. Ed è commovente notare come, in mezzo ai ladri e predatori della scienza e della borsa, l’anima del popolo – più vicina a Dio – si raccolga umilmente a cantare la lode di Chi venne in terra a certificare della potenza celeste.  

Raccogliamo, a titolo documentario e per la gloria di Maria, alcuni fra i più noti miracoli che sono ricordati con brividi di commozione.  

Il cieco riacquista la vista

Viveva a Catanzaro, e la ricordano molti, la famiglia Celia. Tre fratelli, la madre ed il padre. Dei tre uno era cieco; ed a lui guardava con infinita tristezza la famigliola laboriosa. Le cure non erano valse a nulla. I medici si stringevano amaramente le spalle. Ma la famiglia sperava e pregava. E il giorno della festa della Madonna, i due amorosi fratelli si avviarono col cieco verso il Termine. Erano belli, alti, robusti, illuminati dalla speranza. La via lunga ed erta li faceva a tratti sostare; e nelle soste si raccoglievano nell’unico pensiero che cantava nella loro anima. Poi riprendevano il cammino, e tutti e tre cantavano la lode di Maria: Ave, Maria, gratia plena!…

La Madonna doveva già essere nel suo viaggio sulle montagne. Essi la vedevano ascendere, seguita da mille e mille fedeli osannanti. Disperarono, per un attimo, di giungere in tempo, e si affrettarono. Ed eccoli in vista del Termine. La Madonna scende dalle montagne, fra canti e grida di giubilo i tre s’inginocchiano ed aspettano. Con slancio pieno di fede tendono le braccia supplicanti e gridano: - O Maria, la grazia, la grazia ti chiediamo, e ti saremo fedeli per sempre, e ogni anno verremo a pregarti qui nel giorno della tua festa! La Madonna lentamente si avanza verso il Santuario. I tre tendono sempre le braccia verso di Lei. Il popolo, che ha visto, è commosso e attende. D’un tratto il cieco balza delirante: -fratelli, fratelli, ecco la Madonna, la vedo, la vedo!…

La commozione della folla è indescrivibile. Si piange, si applaude. Il cieco come pazzo, corre verso Catanzaro, e grida per le strade: -la Madonna mi ha dato la vista! Lodate con me la Madonna!… Testimoni del prodigio furono migliaia di persone. Ricordiamo, a prova, Vincenzo Colao fu Francesco, Pugliese Giuseppe fu Arcangelo, Pugliese Domenico fu Antonio. Fava Giuseppe fu Antonio, nonché i fratelli del cieco. ( Anno 1870 ).

Gli zoppi camminano!  

Un povero uomo era da trent’anni rimasto con una gamba paralizzata, e a stento si trascinava sulle grucce. Era povero ed aveva bisogno di aiuto. Si recò nel giorno della festa al Termine. Quando l’Immagine della Madonna giunse alla porta del Santuario, il povero zoppo, abbandonate le grucce, con le braccia protese verso la Vergine, mantenendosi su una sola gamba, implorò la grazia. Un attimo di attesa in cui l’ansia della folla diviene febbre. Ma l’attesa è appagata. Il povero zoppo riacquista la sua gamba paralizzata e corre, corre, avanti, indietro, come un esaltato, mentre frenetiche grida di gioia echeggiano per la valle e le gole dei monti. Poi, in ginocchio, la folla ringrazia e venera Maria. Ad attestare del prodigio, la gruccia del povero zoppo è rimasta sempre appesa alle pareti del Santuario. ( Anno 1875 ). 

Lo scoppio del petardo 

Il giorno della festa della Madonna, nel 1921, mentre la folla stazionava attorno al casino del signor Antonio Mannella, improvvisamente scoppiò un enorme petardo che dalla montagna da tanti giorni mandava il suo rombo per avvertire della festa di Maria. Spezzatosi, una parte del micidiale ordigno cadde sulla terrazza del casino, zeppa di gente, e l’altra, rasentando un pellegrino, aprì una grande fossa per terra. La folla rimase per un attimo atterrita. Ma tutti rimasero incolumi. La Vergine giungeva in quel momento al Santuario. A ricordo una metà del petardo si custodisce sulla terrazza Mannella e l’altra nel Santuario. Testimoni, numerosissimi catanzaresi.

L’acqua del pozzo  

Si narra che, disseccatasi la cisterna attaccata al Santuario, che serve per dissetare i pellegrini che vi affluiscono nel giorno della festa, il parroco incaricò alcune donne per il trasporto dell’acqua necessaria. Ma quale fu la meraviglia delle donne quando, recatesi sul posto, trovarono la cisterna quasi ricolma di acqua! E di quanti altri miracoli non attesta il Santuario, custode dei segni che i fedeli lasciano a ricordo della grazie ricevute! Entrando nel Santuario si è costretti, da un intimo bisogno, a piegare le ginocchia e pregare. Il silenzio che domina intorno invita ai colloqui dello spirito. Si ha viva la sensazione della presenza della Madonna. E si comprende così il fervore che anima i pellegrini che si adunano, nel giorno desiderato ad onorare la celeste creatura, che sorride dolcemente dalla tele nella quale è presente.

La festa 

Caratteristica e sfarzosa è la festa. Un tempo era difficile l’accesso al Santuario e assai scomoda la permanenza. I pellegrini per la ristrettezza della chiesa e della piazzetta prospiciente, non potevano neppure essere agevolmente ricevuti. La previdenza del rettore del Santuario, che ha fatto costruire una bella piazza, rende più facile la dimora dei pellegrini, che giungono a migliaia dai paesi limitrofi, e specialmente da Catanzaro, Gimigliano, Tiriolo, Carlopoli, Cicala. Giungono, stanchi dal viaggio notturno, a frotte, cantando e inneggiando a Maria. E si riversano nel Santuario, a salutare la bella Madonna, che ha così grande potere di raccogliere in un unico pensiero genti di ogni parte e di farle gioire d’una stessa gioia. Dalle montagne, che formano corona al Santuario, continuo si diffonde il rombo dei petardi. Poi, la mattina di domenica, s’inizia la grande caratteristica processione. La Madonna esce dal Santuario, seguita dalla enorme folla dei fedeli, e sale lentamente su per le montagne. La grande, fantastica teoria di pellegrini si snoda su per sentieri diruti, assume formazioni strane ed artistiche; mentre le campane spandono il loro incessante suono festoso, le musiche intrecciano le loro armonie e molti fedeli sparano i loro fucili in segno di giubilo. La processione interminabile, sosta, a tratti. Ogni tanto la folla manda il suo grido, che diventa rombo echeggiante per la valle: - Viva Maria! – e la bella catena umana guidata dalla Madonna, si svolge ancora sui monti, declina, ritorna – dopo circa quattro ore – al Santuario, dove, quando la Vergine fa il suo ingresso, il fervore della folla raggiunge le sue più alte vibrazioni d’amore, e spesso si assiste al miracolo.

Con l’ingresso della Madonna nella chiesa, la festa si può dire chiusa. I fedeli fanno ritorno alle loro case. Ma non danno segno di stanchezza. Hanno venerato la Madonna, e la venerano ancora, e ancora sospirano il giorno in cui ritorneranno al Termine a rinnovare il purissimo rito d’amore.

PREGHIERA

Vergine Santa, siamo venuti quassù dopo lungo cammino, a traverso aspri sentieri e più aspri peccati, ed ora, mercè la Tua grazia, Ti veneriamo in ginocchio, e la Tua luce apre solchi di speranza nella fitta tenebra dei nostri peccati, e la Tua dolcezza placa l’urlo disperato della nostr’anima errabonda e la Tua misericordia ci solleva dal pelago fangoso di questa vita e ci riporta dinnanzi a Dio.

O creatura sovrana – la più umile e la più alta, dinanzi a cui cede ogni protervia, s’inchina ogni bellezza, s’infrange ogni assalto – noi Ti sappiamo “ fontana vivace di speranza “ , “ meridiana face di carità “ , “ termine fisso d’eterno consiglio “ , e Ti onoriamo per la gloria di Colui che si compiacque assumere in Te forma umana e salvare il mondo dall’errore sacrificandosi sul Calvario. Ed a Te, che sei la sorgente munifica d’ogni misericordia, chiediamo la grazia d’intercedere verso Dio per i nostri peccati, e di portarci a salvamento in questo mare burrascoso che ci logora e ci assalta senza tregua. 

Senza di Te ogni nostro palpito è privato di calore, ogni nostro slancio senz’ali, ogni nostro grido senz’eco – perché Tu sei calore, ala, voce che portano a Dio. A Te dunque noi chiediamo grazie, con la speranza accesa come fiaccola nella tenebra; e da Te aspettiamo soccorso in ogni ora della nostra vita, che, di Te priva, si dissecca come pianta senza sole e senz’acqua. 

Abbiamo atteso questo giorno luminoso con una dolce armonia nell’anima; ci siamo inerpicati su per questa montagna con ardore incessante, attratti dalla Tua divina forza, che è vita, verità, vita – od ora a Te aspettiamo la benedizione che ci affranchi dai mali e ci prepari la vita eterna.

Amen.

Nitil obstat - Imprimatur - Catacii 28 augusti 1923.

C. Dec. S. La Cava V. G.

Approfondimento:

Giosafatte Talarico, il brigante devoto della Madonna

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