Giosafatte Talarico:

il brigante devoto della Madonna

 

"La vita si svolge relativamente pacifica in quello che fu detto il paese della Madonna o anche il paese dei preti. Schiere di sacerdoti uscirono difatti dal suo grembo diffondendo ovunque l’ansia del bene e la pratica delle virtù cristiane. Ben cinque fratelli Capilupi furono sacerdoti contemporaneamente. Fuori dalle grandi vie di comunicazione, Pentone si tenne tranquilla. Gli eserciti dei conquistatori passarono al largo e il piccolo paesello restò immune anche dalla piaga del brigantaggio. Solo il famigerato Giosafatte Talarico calò sulle montagne di Pentone ma lo fece solo per avvicinarsi in devoto raccoglimento al Santuario della Madonna di Termine di cui, si diceva, portasse costantemente uno scapolare".

Tratto da un libro di ANTONIO CAPILUPI - 1957 -

www.lacalabria.net

"La leggenda di Giosafatte, brigante di Panettieri"

Salvatore Piccoli - 2003, Incalabria Edizioni

Il Brigantaggio in Calabria nel periodo borbonico e Giosafatte Talarico.

Di Salvatore Piccoli

E' d'uso, non si capisce bene per qual motivo, che gli studiosi del brigantaggio calabrese, come del resto di tutto il brigantaggio meridionale, concentrino il proprio interesse soprattutto nel definire e nel delineare il fenomeno quando esso divenne, per così dire, "di Massa", cioè durante il primo decennio del XIX secolo, quando emersero violente insorgenze contro l'occupazione giacobina e dopo il 1861, quando la miseria atavica delle plebi non mutò nonostante l'agognata unità!
Pare, in sostanza, che le masse calabresi affamate si ribellassero solamente ai tentativi politici di rinnovamento sociale. Ovviamente non è così! Il fenomeno è troppo complesso per ridurlo a schemi di parte. Dopo la definitiva sconfitta di Napoleone e il ritorno di Ferdinando di Borbone sul trono di Napoli il brigantaggio non era certamente scomparso in Calabria, nonostante i proclami reazionari. Gran parte dei briganti che durante il decennio francese avevano combattuto sotto l'egida borbonica e clericale, rimasero ancora ribelli dopo la restaurazione a testimonianza del disagio economico e sociale che percorreva questa terra da secoli al di là degli occupanti di turno! Appariva ancora attuale ciò che aveva scritto l'intendente De thomasis sulle cause del fenomeno:

"I baroni si sono appropriati delle terre non appoggiati da alcuna legittima proprietà, ma basandosi unicamente sul diritto signorile stabilito dall'antica distinzione della specie umana in padroni e servi!".

La ragione essenziale che stava alla base del brigantaggio era la terra! I briganti altri non erano che braccianti che chiedevano solo terra da coltivare per sopravvivere! Il problema delle terre in Calabria, segnatamente in Sila, era un problema antico e neanche la società moderna riesce a scuoterne l'essenza feudale! Esempio di ciò fu una banda di Gimigliano che durante il periodo francese s'accanì contro i filogiacobini e che al ritorno dei Borboni saccheggiò Gimigliano stessa assassinando quattro persone tra cui il sindaco voluto da Ferdinando e la sua testa fu issata al posto della bandiera borbonica. Ferdinando fu costretto a formare con decreto del 22 Aprile 1816 una commissione incaricata di compilare liste di individui che scorrevano armati le campagne di Calabria in aperta e violenta resistenza alla forza pubblica. Ciò rappresentò l'implicita ammissione che le ribellioni non erano finite! Nella prima lista pubblicata figuravano, tra gli altri, i nomi di Vito Caligiuri di Soveria Mannelli, Carlo Cironte e Nicola Mazza di Pittarella (Scigliano), Vincenzo e Carmine Villella, Antonio Renzo, Pietro Genovese e saverio Colacino di Motta Santa Lucia.

Nel 1824 il governo borbonico inviò in Calabria il colonnello Del Carretto per arginare il fenomeno brigantesco, soprattutto contro la banda di Ippolito Crocco di Spezzano e quella di Giovanni Roma di Caloveto. Sia il Crocco che il Roma finirono uccisi a tradimento da un infiltrato con l'aiuto di un componente della banda: Pietro Morrone di Pedace. Nella provincia di Catanzaro era attivissima la banda di Giovanni Gullo di San Pietro a Maida e nella provincia di Reggio operavano soprattutto comitive di Maropati e Gioiosa. Nel 1831 Ferdinando II, considerata l'incapacità fino ad allora mostrata di contrastare efficacemente il fenomeno, nominò un commissario ad hoc nella persona di Giuseppe De Liguoro, intendente della Calabria. Dai rapporti di polizia emerge che nel biennio 1831 - 1832, in tutta la Calabria, furono arrestati 123 briganti e 12 ne furono uccisi.

Dopo il 1843 le terre silane furono sconvolte da una particolare recrudescenza brigantesca dovuta alle nuove disposizioni legislative borboniche sui demani. Da ricordare Rosario Rotella detto "Terremoto" Da San Giovanni in Fiore e le bande di Lappano, Trenta, Celico, San Benedetto Ullano. La caratteristica delle bande fu che, anche se decimate, in poco tempo si ricostituivano perché le condizioni di vita erano talmente misere che per sopravvivere finiva per essere necessario rubare! In realtà le comitive brigantesche del periodo, pur essendo costituite da braccianti e contadini, una volta che avevano preso la macchia, esercitavano la loro ferocia e il loro arbitrio anche contro i propri simili dimostrando di non possedere la minima coscienza sociale! Questo appare ulteriormente testimoniato dal fatto che nessun brigante sia stato mitizzato dal popolo come difensore delle classi povere. Nessuno tranne Giosafatte Talarico!

Giosafatte vive ancor oggi nella memoria collettiva del suo paese, Panettieri, e dei paesi vicini, come il vendicatore dei torti, il romantico difensore dei deboli! Giosafatte fu un brigante solitario e particolare: uccideva solo per vendetta o per ridare ai poveri quello che l'arroganza dei baroni aveva loro tolto! La sua abilità nel travestimento, la sua cultura e soprattutto l'accortezza di non legarsi per troppo tempo a bande numerose, ma avere solo due amici fedeli: Felice Cimicata di Taverna e Benedetto Sacco di Castagna, fecero di lui un imprendibile fantasma, una leggenda vivente! Solo un patto con il monarca borbonico lo stanò dalle selve silane. Nel 1845 il re Ferdinando II, desideroso di dare all'Europa un'immagine pulita del suo regno, constatato che con la repressione non riusciva a venire a capo del fenomeno e insensibile alle tematiche sociali, vero scoglio insito nella sua mente e insuperabile dalla sua mentalità, propose a Giosafatte e ad altri briganti di arrendersi in cambio di una nuova e libera vita lontano dalla Sila. Giosafatte così venne esiliato nell'isola di Ischia dove ebbe casa e stipendio. Aveva allora 40 anni e altri 40 visse in completa tranquillità davanti al mare! Dopo l'unità il deputato nepoletano Mariani con un'interrogazione parlamentare chiese se fosse giusto mantenere a spese dello stato un brigante graziato dai Borboni.

Non ebbe risposta. Non fu solo quello il progetto borbonico che i Savoia perpetuarono nella bella Calabria!

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Da una comunity di Cosenza:

Ieri sera ho finito di leggere il libro, La leggenda di Giosafatte brigante di Panettieri scritto e regalatomi da Salvatore Piccoli, utente conosciuto qui a Cosenza in rete, non solo per le sue discussioni nei forum, ma credo anche e soprattutto per le sue opere.

Ho iniziato a leggerlo, con il timore che le notizie storiche prevalessero sulla vicenda in se stessa, ma più andavo avanti e più una pagina tirava l'altra, mi rassicuravo, mi lasciavo coinvolgere con la stessa tranquillità con cui si accetta una carezza inattesa, e procedendo così, inevitabilmente sono rimasta intrappolata nel magico ed avventuroso mondo di Giosafatte Talarico.

Sono stata affascinata dalla minuziosità dei dettagli, dalla ricostruzione attenta e precisa dei luoghi e soprattutto dalla figura di Giosafatte, brigante temuto e amante desiderato al tempo stesso, apparentemente due facce della stessa medaglia che sottolineano la vulnerabilità del suo essere. Tutto nasce per vendicare l'onore "rubato" di sua sorella, e da allora in poi Giosafatte è deciso a rivendicare tutti i torti subiti verso chi crede che ogni cosa gli sia dovuto, i signorotti locali e la monarchia borbonica pagheranno lo scotto di anni di sopraffazioni e di ingiustizie. Si... perché Giosafatte deruba i traditori, gli sfruttatori ma non gli innocenti, i bambini, le donne (verso le quali sente un richiamo irresistibile, anche se un solo amore vivrà per sempre intatto a puro nel suo cuore, quello per Anna), un Robin Hood dell'800 pre-repubblicano.

Preferiva agire da solo, ma non sono mancate unioni a bande temute, almeno quanto lui. Ma chi erano i briganti (che hanno fatto la storia del Meridione) e per che cosa combattevano? Il grosso delle bande era costituito da braccianti, cioè contadini salariati esasperati dalla miseria; accanto ad essi lottarono ex soldati borbonici e numerose donne, audaci come gli uomini. Si rifugiavano sulle montagne ed erano protetti e nascosti dai contadini poveri; dopo di che rapinavano, uccidevano, sequestravano, incendiavano le proprietà dei ricchi. I briganti, quindi, non furono "criminali comuni", come pensa la maggioranza degli italiani, ma un esercito di ribelli che, all'infuori della violenza privata, non conoscevano altra forma di lotta. Tenuti per secoli nell'ignoranza e nella miseria, i contadini meridionali non avevano ancora maturato una conoscenza politica dei loro diritti e non riuscivano ad immaginare alcuna prospettiva di cambiamento attraverso i mezzi legali.

Questa sfiducia in ogni forma di protesta e di lotta organizzata fu il nucleo della vera "Questione meridionale". L'esteso fenomeno del brigantaggio ne fu solo una drammatica conseguenza. Ma ritornando a Giosafatte, l'autore ce lo descrive come un uomo solitario, inquieto, di vasta cultura, ma anche come una persona dall'animo sensibile e generoso, forte e capace di accoltellare un uomo, ma anche mite e sorpreso davanti al miracolo dell'alba mattutina. E' ambientato nella nostra bella terra, dai boschi silani alle pianure catanzaresi e in ultimo alle calde spiagge siciliane. Come una magica macchina del tempo, il romanzo ci fa incontrare la storia (fatta di solidarietà e senso di giustizia tra poveri) e i personaggi che l'hanno fatta: da Garibaldi, ai fratelli Bandiera, fino a noti briganti come il Boia, Felice Cimicata e Benedetto Sacco.

Nel leggere il libro, due autori mi sono venuti in mente:

- il contemporaneo Umberto Eco, per la scrupolosità descrittiva (il rimando a "Il Nome della Rosa" è stato inevitabile) e per il manoscritto che sempre nel suddetto libro l'autore aggiunge per mostrare al lettore la veridicità della storia narrata. Anche Salvatore Piccoli, aggiunge un manoscritto, come testimonianza storica di un tempo che fu;

- e il precursore del romanzo storico italiano: Alessandro Manzoni, per le realtà storiche narrate.

In ultimo non mi resta che dire che è un romanzo storico da leggere, da scoprire, da custodire.

COCCINELLA

http://www.cosenzainrete.it/user.php?op=userinfo&uname=COCCINELLA

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