| 
       
         
E LA BELLEZZA DOV’ E’ ? 
  
      
          
      C’è qualcuno – fra i partiti che si 
      azzuffano alle elezioni per poi spartirsi la torta del potere – che 
      metterà al primo punto del suo programma la Bellezza, la difesa della 
      Bellezza, il diritto alla Bellezza in questa Italia che fu (e dolentemente 
      sarebbe ancora) la patria della Bellezza? E c’è qualcuno che se ne 
      ricorderà soprattutto a Roma che è la città della Bellezza? Sicuramente 
      no. Eppure la Bellezza non è un lusso, è il pane dei poveri, la loro unica 
      ricchezza. La Bellezza non è fatta di lustrini e veline, povere ombre 
      effimere di un teatro di cannibali (il volto di Madre Teresa era 
      bellissimo e quello di Karol Wojtyla più bello di qualunque attorucolo 
      hollywoodiano). La Bellezza dà senso alla vita. Ammoniva Dostoevskij nei 
      “Demoni” (che è il suo romanzo più politico, quello dove profetizza 
      l’orrore che l’ideologia provocherà nel Novecento): “Sappiate che 
      l’umanità può fare a meno degli Inglesi, che può fare a meno della 
      Germania, che niente è più facile per lei che fare a meno dei Russi, che 
      per vivere non ha bisogno né di scienza né di pane, ma che soltanto la 
      bellezza le è indispensabile, perché senza bellezza non ci sarà più niente 
      da fare in questo mondo”.  
       
      Non c’è nessuno che abbia il senso tragico del momento che viviamo. 
      Nessuno che si alzi di un centimetro sopra gli avvenimenti e ne sappia 
      leggere la logica (suicida), il punto di approdo e di crollo. Non solo 
      nella “classe dirigente” (si fa per dire) italiana. La tecnocrazia europea 
      è assai peggiore. Eppure la gente lo sente, avverte che abbiamo perduto 
      l’essenziale. Vorrei sentir dire a qualcuno le parole di Robert Kennedy: 
      “Il dramma della gioventù americana è che sa tutto eccetto una cosa. E 
      questa cosa è l’essenziale”. Continuerà a ignorarlo e ad affossarsi, la 
      nostra gioventù, se – per esempio – le università saranno sempre nelle 
      mani di minoranze fanatiche che inalberano cartelli dove sta scritto: “Non 
      vogliamo padri” (come è accaduto all’Università di Roma per impedire 
      l’arrivo del Papa).  
       
      A volte mi viene in mente un’invettiva dell’autore del “Piccolo principe” 
      che dice brandelli di verità: “Odio la mia epoca con tutte le mie forze. 
      In essa l’uomo muore di sete e non esiste al mondo un problema più grande 
      di questo: dare agli uomini un senso spirituale, un’inquietudine 
      spirituale. Non si può vivere di frigoriferi, di bilanci e di politica. 
      Non si può! Non si può vivere senza poesia, senza colore, senza amore. 
      Lavorando unicamente per acquistare dei beni materiali finiremo con il 
      fabbricarci una vera e propria prigione”.  
       
      Un inferno. Popolato di demoni e beni di consumo. Di monnezza e di palline 
      da golf perdute. Di vecchi abbarbicati al potere e di giovani incapaci 
      della più piccola nobiltà d’animo. Di assatanati del sesso. Di incapaci di 
      rispettare i deboli. Di ragazze ridotte a cose da possedere anche a costo 
      di violentarle. Di figli ridotti a prodotti da “fabbricare” a proprio 
      gusto o da scartare ed eliminare se “difettosi”. Di una cultura che esalta 
      solo e sempre la brama di possesso, il potere e il denaro (e soprattutto 
      la loro esibizione), mentre la vita reale della metà delle famiglie 
      italiane sta sprofondando letteralmente nella povertà. E se ne approfitta 
      per produrre parole parole parole… 
       
      Giorni fa vedevo un programma d’informazione in tv che da anni fa la 
      stessa puntata: non parla che delle bollette e delle buste paga, della 
      finanziaria e della rata del mutuo. Da mesi e da anni. Oltretutto un 
      parlare del tutto vano perché la gente, sempre più impoverita, non si 
      sente dire la verità, non si sente dire “per colpa di chi”. E ora non 
      riesce più neanche ad acquistare le medicine per curarsi. Nessuno ha il 
      coraggio di dire la verità e nessuno la difende.  
       
      Ma mi chiedo se la vita e il destino di un popolo sia tutto e solo lì, 
      nelle bollette. Oltretutto questo popolo non fa più figli, perché fare 
      figli significa essere condannati alla povertà; perciò fra venti anni il 
      popolo italiano sarà vicino all’estinzione. Senza speranza. Dicono certi 
      sondaggi che quello italiano è un popolo triste e senza speranza. Nel 
      dopoguerra eravamo molto più poveri, addirittura fra le macerie, un paese 
      in ginocchio. Ma avevamo una grande risorsa che ha fatto “il miracolo”. 
      Qual era? Cosa abbiamo perduto? Perché nessuno sa dirlo? Beh, lo dirò io: 
      la fede cristriana. Questo abbiamo perso. Cioè l’amore alla vita. 
      “L’umanità è giunta a un punto vergognoso! Non siamo liberi da noi stessi. 
      Io parlo perché tutti capiate che la vita è semplice e che per salvarvi, 
      salvare voi stessi e salvare i vostri figli, la vostra discendenza, il 
      vostro futuro, dovete ritornare al punto dove vi siete persi, dove avete 
      imboccato la via sbagliata! Bisogna tornare al punto di prima, 
      in-quel-punto dove voi avete imboccato la strada sbagliata”.  
       
      E’ il “folle di Dio”, Domenico, nel film “Nostalghia” di Andrej Tarkovskij, 
      che grida queste parole, poco prima di sacrificare se stesso sopra la 
      statua del Marco Aurelio in Campidoglio. Ma in quale punto abbiamo 
      “imboccato la via sbagliata”? A quale crocevia ci siamo smarriti? 
      Sfogliando un libro di antiche icone russe, Alexander, il protagonista del 
      “Sacrificio” (il successivo e ultimo film di Tarkovskij), si dice colpito 
      da quelle splendide tavole per la “saggezza e spiritualità (…) profonda e 
      virginale nello stesso tempo. Incredibile come una preghiera”. Ma 
      aggiunge, con sconcerto: “tutto questo è andato perduto. Non siamo più 
      neppure capaci di pregare”.  
       
      Due sequenze con le quali Tarkovskij ci dice che si sono perdute (o 
      abbandonate) al tempo stesso la Bellezza e la Fede. Che poi sono la stessa 
      cosa. Pavel Edvokimov scrive: “Ciò che è bello è la presenza di Dio fra 
      gli uomini”. Un cataclisma si è dunque consumato agli esordi del 
      Novecento. Preparato da qualche secolo. Si è preteso di cancellare – anche 
      al prezzo di stragi e persecuzioni bestiali – la presenza di Dio fra gli 
      uomini.  
       
      Così si è cancellato l’uomo. E si è cancellata anche la bellezza. Infatti 
      non c’è più bellezza, neanche nelle chiese. Non c’è più la forma umana. E 
      non c’è più neanche lo stupore per la realtà creata. Un filosofo 
      straordinario come Wittgenstein diceva: “E ora descriverò l’esperienza di 
      meravigliarsi per l’esistenza del mondo, dicendo: è l’esperienza di vedere 
      il mondo come un miracolo”. Non è più così. I “miracoli” sono stati 
      aboliti innanzitutto dai teologi che si scagliano contro i santi e 
      pretendono di legare le mani alla bontà di Dio. Ebbe modo di prevedere 
      questa china quel grande che era Franz Kafka quando notò: “Non ci sono più 
      miracoli, ma solo istruzioni per l’uso”. Ci sono solo norme, regole, 
      vademecum, anche nella Chiesa che pure è il luogo dei miracoli, che pure 
      sarebbe cielo e terra nuova, dove i miracoli veramente accadono. Dice 
      Tarkovskij: “non si è più capaci di ammettere, neppure per ipotesi, il 
      miracolo”. Perduto il significato siamo precipitati tutti – uomini, popoli 
      e cose create - nell’assurdo e quindi anche nel brutto. L’arte si è 
      disumanizzata e ha celebrato la distruzione del “personaggio uomo” e della 
      realtà creata. Sono diventate “opere d’arte” gli orinatoi e la “merda 
      d’artista”. Così “l’abolizione della bellezza è la fine 
      dell’intelligibilità del mondo” (F. Schuon). Ma è anche la fine del mondo.
       
       
      Antonio Socci 
      (da “Libero”, 24 febbraio 2008) 
      
      INDIETRO  |