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SE ANCHE LA CHIESA “SCONSIGLIA” DI FARSI 
      CRISTIANI…  
      30.06.2006  
       
      Forse c’è qualcosa che non va….Ecco cosa. 
       
       
      Ma la Chiesa Cattolica ha forse cambiato natura e missione? No, ma me lo 
      sono chiesto leggendo, sul mensile paolino “Jesus”, una intervista a 
      monsignor Walter Ruspi, direttore dell’ufficio catechistico della Cei. La 
      domanda diceva così: “Sul delicato tema delle conversioni dall’islam ci 
      sono indicazioni particolari?”. Risposta: “Non è un fenomeno uniforme. In 
      Italia non esistono dati certi, ma noi stimiamo in circa il 2-3 per cento 
      gli adulti che chiedono il battesimo. Ci siamo dati linee di comportamento 
      precise: se la persona, immigrata, pensa che la sua presenza nelle nostre 
      realtà sarà provvisoria, gli consigliamo di soprassedere perché 
      abbracciare la fede cristiana sarebbe pericoloso una volta rientrato in un 
      Paese islamico”.  
       
      Dunque “gli consigliamo di soprassedere” dal convertirsi e dal chiedere il 
      battesimo. E’ addirittura l’indicazione ufficiale a nome della Cei. Sono 
      andato a rileggermi il Vangelo di Matteo, la pagina dove Gesù indica la 
      missione della sua Chiesa per tutti i secoli: “Andate dunque e ammaestrate 
      tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello 
      Spirito Santo... Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del 
      mondo”.  
       
      Gesù non consiglia di soprassedere dal diventare cristiani se è 
      “pericoloso”. Promettendo “il centuplo” e la vita eterna a chi lo segue 
      prevede anche persecuzioni: “beati voi quando vi insulteranno, vi 
      perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per 
      causa mia”. E poi: “chi perderà la sua vita per causa mia, la salverà”. 
      Come si spiega la scelta dell’ufficio Cei? Non sembra corrispondere al 
      continuo invito all’evangelizzazione fatto dal cardinal Ruini, né alla 
      persistente apologia del martirio che Benedetto XVI ha fatto in tutto 
      questo anno di pontificato: anche ieri, festa dei santi Pietro e Paolo, ha 
      sottolineato che “il loro martirio viene considerato come il vero e 
      proprio atto di nascita della Chiesa di Roma” e ha aggiunto che “il 
      Signore attraverso la Croce vince sempre”.  
       
      Del resto il cuore del Concilio Vaticano II è stata proprio l’universale 
      chiamata alla santità e la “Lumen Gentium”, ricordando le parole di Gesù 
      (“nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici”), 
      ha proclamato il martirio come la grazia suprema: “fin dai primi tempi 
      alcuni cristiani sono stati chiamati e altri lo saranno sempre a rendere 
      questa massima testimonianza d’amore davanti agli uomini e specialmente 
      davanti ai persecutori. Perciò il martirio, col quale il discepolo è reso 
      simile al suo maestro, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema 
      prova di carità. Ché se a pochi è concesso, tutti però devono essere 
      pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via 
      della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa”.  
       
      Naturalmente non penso affatto che i vertici ecclesiastici che hanno 
      scelto quelle “linee di comportamento” esposte da don Ruspi vogliano venir 
      meno al mandato di Cristo. Sicuramente hanno una lodevole preoccupazione 
      per l’incolumità di chi si converte che va incontro all’accusa di 
      “apostasia” e quindi perfino alla morte nei paesi islamici. Ma, in questi 
      duemila anni, se la Chiesa avesse “consigliato di soprassedere” a tutti 
      coloro che chiedevano il battesimo in terre pagane, certamente la fede 
      cristiana si sarebbe estinta. Lo stesso Gesù Cristo – se prima di venire 
      sulla terra avesse consultato l’ufficio catechistico della Cei si sarebbe 
      sentito dire che non era cosa: gli avrebbero “consigliato di soprassedere” 
      perché era troppo “pericoloso” per lui.  
       
      Se poi fosse egualmente venuto a morire per noi gli avrebbero “consigliato 
      di soprassedere” dal farsi discepoli perché era pericoloso per loro: 
      infatti – a parte Giuda – i suoi apostoli morirono tutti martiri. Inoltre 
      la Chiesa non si sarebbe diffusa mai in Palestina grazie ai primi martiri 
      (a cominciare da Stefano), né poi nell’Impero romano, dove i cristiani 
      furono “illegali” e perseguitati per trecento anni e dove venivano 
      periodicamente massacrati (a cominciare da Pietro e Paolo di cui ieri si 
      celebrava la festa). Perfino ragazzi e ragazze cristiane venivano dati ai 
      leoni o crocifissi e prima sottoposti a crudeli torture. Tertulliano 
      scrisse che “il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”, tanto era 
      impressionante il coraggio di questi giovani nell’affrontare inermi la 
      morte per amore di Gesù.  
       
      E certamente, se avesse ascoltato l’ufficio catechistico della Cei, nel 
      corso dei secoli la Chiesa non avrebbe mai mandato i grandi missionari che 
      hanno evangelizzato il mondo, da san Bonifacio a Cirillo e Metodio, da san 
      Patrizio ad Agostino, uomini meravigliosi e intrepidi come san Francesco 
      Saverio che ha annunciato Cristo fino all’India e alla Cina. Nessuno di 
      loro sarebbe andato a rischiare la vita per annunciare Cristo esponendo 
      così chi si battezzava alle persecuzioni e al martirio da parte dei 
      potenti. Tutta la storia cristiana è una storia di martirio. Fino al 
      Novecento che ha visto il grande macello dei cristiani sotto tutti i più 
      diversi regimi. Proprio in questi giorni è stato presentato l’annuale 
      “Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo” redatto dall’Aiuto alla 
      Chiesa che soffre. Anche quest’anno è un tragico bollettino di violenza: i 
      cristiani sono il gruppo umano più perseguitato del pianeta. Sono odiati e 
      combattuti dappertutto. Non fanno violenza a nessuno, ma ne subiscono da 
      tutti. I mass media (pure quelli cattolici) non raccontano quanto odio si 
      scateni contro di loro, specialmente nei Paesi islamici e nei regimi 
      comunisti. A voler essere conseguenti con le “linee” dell’ufficio della 
      Cei si dovrebbe consigliare loro di non battezzare i propri figli. Pochi 
      giorni fa parlavo con un sacerdote cattolico egiziano che studia a Roma. 
      Mi raccontava di una sua giovane cugina: essendo cristiana alcuni 
      estremisti islamici l’hanno rapita, violentata, convertita a forza e data 
      in moglie a un musulmano. A suo padre la stessa polizia ha intimato di 
      smettere di cercarla “se ci tiene alle altre due figlie”. Purtroppo è una 
      pratica molto diffusa là contro i cristiani. Dovremmo consigliare loro di 
      farsi islamici?  
       
      In realtà accade il contrario. Clandestinamente sono migliaia a 
      convertirsi per l’attrazione irresistibile che Gesù esercita su tutti. Lo 
      testimonia il libro di Eid e Paolucci, “I cristiani venuti dall’Islam”. Lo 
      ha raccontato una splendida inchiesta di Magdi Allam sul “Corriere della 
      sera” dove si dice che i musulmani immigrati che si convertono sono molti 
      di più di quelli calcolati da don Ruspi e soprattutto che spesso non 
      ricevono aiuto dalle vendette a cui si trovano esposti. Interrogai su 
      questo il cardinale Ratzinger, era l’ottobre 2004, e lui accoratamente mi 
      disse: “non dobbiamo lasciarli soli”. Ma perché si convertono? Giovanni 
      Sardelli, autore di una splendida tesi su questo argomento, mi passa la 
      testimonianza di Mahru Khanum, iraniana il cui padre si è fatto cristiano 
      18 anni fa: “Era troppo per me, non avevo mai visto un atteggiamento 
      nobile come il suo. Mio padre è povero, io sono ricca e ho tutto ciò che 
      desidero, ma non ho la pazienza e lo spirito di perdono di mio padre. Non 
      sono felice e voglio ciò che ha lui. Così sono venuta a chiedervi di 
      condurmi a Cristo, di mettere la mia mano nella Sua, affinché io diventi 
      come mio padre”.  
       
      Antonio Socci
        
      
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