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            L’ora di difendere il Papa
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l discorso di Benedetto XVI a Regensburg 
      dello scorso 12 settembre ha assunto una portata storica, non solo per 
      l’importanza del suo contenuto (di cui riferiamo nelle pagine che 
      seguono), ma anche perché ha portato alla luce l’esistenza di un odio 
      organizzato verso la Chiesa e la persona del Pontefice che ha, non solo 
      nel mondo islamico ma anche in Occidente, le sue radici profonde.
      Per comprendere la gravità del fenomeno è utile seguire il percorso 
      mediatico che ha precedutole violente proteste contro il Papa scatenatesi 
      nei Paesi musulmani. 
       
      Tutto parte dal quotidiano americano New York Times che il 13 settembre 
      2006, il giorno successivo al discorso di PapaBenedetto, in un servizio 
      del suo corrispondente da Regensburg, Ian Fisher, lo accusa apertamentedi 
      attizzare il fuoco contro l’Islam. Il titolo dell’articolo è eloquente: 
      «Papa Benedetto, in un discorso infiammato, attacca tutto: secolarismo, 
      jihad, Islam e il profeta Maometto». Il giorno seguente, 14 settembre, la 
      BBC diffonde in arabo, turco, malese, parsi (la lingua parlatain Iran) e 
      urdi (lingua parlata in Pakistan) una notizia dal titolo analogo: «Il 
      discorso del Papaeccita l’ira musulmana». 
       
      Il quotidiano britannico The Guardian, collegato con lo spagnolo El 
      Pais,fa eco alla BBC, con un articolo dal titolo «La furia musulmana 
      cresce sopra il discorso del Papa». Le notizie vengono naturalmente 
      riprese e amplificate da “Al Jazeera” a “Al Arabya”, ma è solodopo il 14 
      settembre che istituzioni importanti, come il Parlamento del Pakistan 
      scendono in campo.Venerdì 15, tramite il Consiglio del Golfo, si muovono i 
      governi arabi pretendendo le scuse del Papa. Il New York Times, il 16 
      settembre, sferra un nuovo attacco a Benedetto XVI. Le manifestazioni 
      anticristiane intanto dilagano fino a culminare, quello stesso 16 
      settembre, con l’assassinio dellamissionaria della Consolata suor 
      Lionella.  
       
      La paura serpeggia in Occidente colpendo più che l’opinione pubblica, le 
      élites politiche e intellettuali. «Se l’11 settembre 2001 ha rappresentato 
      il culmine della Jihad del terrore, con il più sanguinoso attentato al 
      cuore della superpotenza mondiale, – osserva Magdi Allam – 
      il 12 settembre 
      costituisce il livello più alto della Jihad della parola, con il più 
      insidioso attacco verbale al leader spirituale che oggi più di altri 
      incarna i valori e gli ideali dell’Occidente» (Corriere della Sera , 20 
      settembre 2006). 
       
      La violenza non è solo quella di chi sgozza i propri nemici, ma è anche 
      l’aggressione verbale di chitoglie loro la parola, in un clima di 
      intimidazione sia psicologica che fisica. La conseguenza di questa “jihad 
      morale” è una situazione di “samisdatz”, con la differenza che i 
      dissidenti antisovietici esercitavano la loro critica clandestina sotto un 
      regime comunista, brutalmente dispotico, mentre oggisono i regimi 
      democratici dell’Occidente ad essere incapaci di garantire la libertà di 
      espressione, subordinandosi di fatto alla “sorveglianza islamica”, 
      esercitata attraverso i media. Perché il quadro sia completo non si 
      possono tacere però alcuni particolari inquietanti. 
       
      Il servizio sul New York Times, di Ian Fisher, che ha dato fuoco alle 
      polveri, si basa sulle opinioni di due esponenti del progressismo 
      cattolico come il vaticanista de la Repubblica, Marco Politi, e il rettore 
      dell’Istituto di Studi della Religione dell’Università Gregoriana, Daniel 
      A. Madigan. Magdi Allam da parte sua scrive di essere rimasto di stucco 
      nello scoprire che all’interno del sito www.islam-online.net, legato al 
      predicatore d’odio islamico Youssef Qaradawi, rispondeva in diretta ai 
      visitatori il padre gesuita Thomas Michel, per tredici anni capo 
      dell’Ufficio per l’Islam del Consiglio per il dialogo interreligioso del 
      Vaticano. «Che ci fa – scrive Allam – un religioso cattolico di questa 
      levatura con chi, come Quaradawi, predica la sconfitta del cristianesimo e 
      l’annientamento della civiltà occidentale, la distruzione di Israele e il 
      castigo eterno agli ebrei, inneggia e legittima il terrorismo suicida 
      palestinese e gli attentati controgli occidentali in Iraq e Afghanistan?» 
      (Corriere della Sera, 28 settembre 2006). 
       
      Padre Michel sposa infatti la tesi della bontà dell’Islam, affermando: 
      «Credo che i media occidentali siano ingiustamente ossessionati 
      dall’Islam. (…) Non credo che le dichiarazioni del Papa siano state sagge. 
      Spero che non alimentino la violenza e che I musulmani accetteranno le sue 
      scuse e lo perdoneranno». Critiche più esplicite ma non meno significative 
      di quelle espresse dal cardinale Martini e dal vescovo di Algeri Henri 
      Teissier all’indomani del discorso di Benedetto XVI. Critiche che 
      dimostrano, aggiunge Allam, «che probabilmente c’è un secondo fronte che 
      insidia assai da vicino il Papa: quello dei pastori della Chiesa che gli 
      dovrebbero fedeltà assoluta sulle questioni dogmatiche, ma che nella nuova 
      “guerra santa” scatenata dagli islamici sembrano fin troppo premurosi di 
      non inimicarsi i predicatori d’odio.   
       
      Padre Michel è l’emblema dell’islamicamente corretto in seno alla Chiesa. 
      Una nuova filosofia di vita che induce l’Occidente a autocensurare la 
      propria libertà d’espressione per paura della reazione degli islamici ». 
      Se esiste un fronte interno da cui il Papa deve guardarsi, 
      è necessario 
      oggi costituire un fronte interno che lo sostenga. Benedetto XVI non è 
      solo: la grande maggioranza dei cattolici in tutto il mondo lo sostiene 
      con decisione e si stringe attorno al successore di Pietro, come è 
      accaduto in tutti i momenti più difficili della vita della Chiesa. 
       
      La Provvidenza ha simbolicamente disposto che il discorso di Benedetto XVI 
      fosse pronunciato il 12 settembre, anniversario della liberazione di 
      Vienna dai turchi, avvenuta il 12 settembre 1683. Il beato Innocenzo XI, 
      promotore della Lega Santa contro l’Islam, promulgò in onore di quella 
      vittoria, la festa del Nome di Maria. I fedeli che oggi rinnovano il loro 
      sostegno e la loro filiale devozione al soglio pontificio, non possono che 
      volgere ancora una volta lo sguardo alla Madonna, sostegno costante e 
      incrollabile della Chiesa e della Civiltà cristiana nella storia. 
       
      (Roberto de Mattei) Editoriale novembre 2006 
       www.radicicristiane.it
       
      
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