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       Data: Luglio 2006 -
      Autore: Emanuele Gagliardi 
      
        
        
          
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Intervista 
            al senatore Paolo Guzzanti: 
            
            L'ombra del Cremlino 
            sullo sfondo del caso Moro e dell'attentato al Papa  | 
            
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      Terminata la XIV Legislatura è 
      automaticamente decaduta la Commissione parlamentare d’inchiesta sul 
      “dossier Mitrokhin” e l’attività di intelligence italiana, istituita con 
      la Legge n. 90 del 2002 in seguito alla pubblicazione dell’Archivio 
      Mitrokhin, dal nome dell’ex ufficiale del KGB fuggito in Gran Bretagna nel 
      1992 e che ha rivelato le operazioni dei servizi segreti sovietici in 
      tutto il mondo. 
       
      Sui tanti misteri svelati in questi anni di lavoro avevamo parlato con il 
      presidente della Commissione, il senatore Paolo Guzzanti, nel numero 1 di 
      Radici Cristiane. Oggi, ad un anno e mezzo di distanza, il senatore 
      Guzzanti ci parla delle ultime novità venute alla luce e delle prospettive 
      del suo paziente lavoro di accertamento della verità. 
       
      Senatore, può tracciare brevemente un bilancio del lavoro 
      della Commissione da Lei presieduta? 
       
      In oltre tre anni e mezzo di lavoro sono stati prodotti una quantità 
      incalcolabile di pagine, audizioni, testi, documenti originali, traduzioni 
      che ci hanno permesso di far luce su alcuni punti di questa 
      complicatissima congerie di vicende. Per quanto riguarda l’Italia, 
      ricorderete che vi è un archivio nell’archivio, chiamato Rapporto Impedian 
      - 645 pagine, 261 schede con nomi e operazioni - che gli epigoni del PCI e 
      i loro gregari hanno più volte liquidato come “spazzatura”, mentre la 
      nostra ricerca ci ha condotto a tutt’altra conclusione. Abbiamo infatti 
      raggiunto la certezza, non  giudiziaria ma sicuramente “storica”, che 
      questo Rapporto Impedian sia solo la versione riveduta e corretta, 
      “sbanchettata”, del vero dossier che Mitrokhin portò in Inghilterra nel 
      ‘92 e che fu subito distribuito a tutti i governi occidentali, fra cui il 
      nostro. 
       
      Quindi c’è stata un’operazione di “insabbiamento”? 
       
      Basta fare quattro conti: il “caso Mitrokhin” esplode a settembre del 
      1999, alla vigilia della pubblicazione del libro in Inghilterra. Da noi la 
      notizia crea fermento anche in Commissione Stragi. È stato appurato che l’on. 
      Veltroni ingiunse al presidente della Commissione, Pellegrino, di render 
      pubblico il dossier sull’Italia e l’allora Presidente del Consiglio D’Alema 
      fu convinto dall’ex Capo dello Stato Cossiga, a creare una Commissione 
      Mitrokhin con Cossiga stesso presidente. Poi non se ne fece nulla e solo 
      nel 2001 il progetto è stato ripreso dalla nuova maggioranza di 
      centrodestra. Dal 1992, anno in cui i servizi inglesi assicurano di aver 
      trasmesso il dossier anche all’Italia, c’è un bel “buco” che, guarda caso, 
      comprende gli anni di Tangentopoli, della caduta dei partiti della Prima 
      Repubblica… Il Rapporto Impedian è stato senz’altro usato da Craxi per 
      convincere l’allora PDS a rientrare in una comune coalizione coalizione 
      socialista con lui a capo… poi, però, le cose sono andate diversamente. 
       
      Si temeva venissero fuori i collegamenti tra PCI, terrorismo 
      rosso e URSS? 
       
      Dei collegamenti fra PCI e URSS, anche a livello di finanziamenti, abbiamo 
      parlato diffusamente la scorsa volta. Circa i rapporti con l’eversione 
      armata, Brigate Rosse in testa, un’importante conferma è venuta dalla 
      rogatoria del 2005 presso la Procura Generale di Budapest, grazie a cui 
      abbiamo reperito documenti con i nomi di brigatisti italiani, ad esempio 
      Antonio Savasta, che erano integrati in un sistema terroristico-militare 
      gestito dall’URSS attraverso il GRU (servizio segreto militare) e il KGB. 
      I terroristi italiani erano operativi anche a livello di compravendita di 
      armi in Medio Oriente, trasferimenti di denaro, ecc. Questa scoperta getta 
      pure nuova luce sul “caso Moro”. 
       
      Vuol dire che dietro il rapimento e l’assassinio di Moro c’era 
      l’URSS? 
       
      Se analizziamo a fondo la dinamica del rapimento, del cosiddetto 
      “processo” intentato dalle BR contro Moro e, infine, della sua 
      liquidazione, ci rendiamo conto che l’essenza dell’evento è stato una 
      sorta di “giro di posta” attraverso cui sono passate non solo le 
      strazianti lettere del prigioniero alla famiglia, a Zaccagnini e agli 
      altri leader della DC, ma anche informazioni e documenti Top Secret, tra 
      cui quelli riguardanti l’operazione Stay-behind, conosciuta anche come 
      Gladio, che durante i giorni della prigionia di Moro “scomparvero” dalla 
      cassaforte del ministro della Difesa Attilio Ruffini e che furono oggetto 
      di un violentissimo alterco tra l’Ammiraglio Martini, numero due del 
      Sismi, e il ministro Ruffini stesso. Attilio Ruffini era succeduto alla 
      Difesa a Vito Lattanzio, costretto alle dimissioni dopo l’evasione e la 
      fuga del colonnello nazista Kappler dall’ospedale militare del Celio a 
      Roma nell’agosto 1977. Kappler era notoriamente malato di cancro e morirà 
      sei mesi dopo… perciò le pressioni su Lattanzio sembrerebbero state 
      piuttosto volte a sostituirlo con il più duttile Ruffini. L’Operazione 
      Gladio, ricordiamolo, fu organizzata per conto della NATO durante la 
      Guerra fredda in Italia e negli altri Paesi dell’Europa Occidentale con lo 
      scopo di contrastare l’influenza politica e militare dell’URSS e dei suoi 
      Paesi satelliti. 
       
      Le unità Stay-behind di Gladio erano destinate ad attivarsi in caso di 
      invasione sovietica, e tra i loro compiti vi era l’organizzazione della 
      rete di comunicazione, la propaganda per incitare la popolazione alla 
      resistenza, le azioni di sabotaggio dietro le linee nemiche e il recupero 
      dei piloti abbattuti. Moro, quindi, fu rapito dalle Brigate Rosse per 
      carpire segreti militari e passarli all’Unione Sovietica. Assolta questa 
      funzione non poteva che essere eliminato, come infatti è stato. 
       
      Perché l’URSS era interessata all’operazione Stay-behind? 
       
      Per districarsi in questa storia confusa c’è un libro illuminante 
      – “A Cardboard Castle?” - che raccoglie i verbali delle riunioni dei 
      ministri della Difesa dei Paesi del Patto di Varsavia dal 1955 al 1991. 
      Questi dimostrano senza possibilità di dubbio che l’URSS fin dagli anni 
      ‘50, ma in modo più organizzato e dispendioso a partire dal 1969 e fino al 
      primo Gorbaciov - con un picco a cavallo fra il rapimento di Aldo Moro e 
      il tentativo di eliminare il Papa - mise in piedi un apparato militare 
      pronto ventiquattro ore su ventiquattro ad attaccare l’Europa occidentale 
      approfittando della debolezza degli Stati Uniti, sfibrati dalla guerra del 
      Vietnam, dal Watergate, dalle presidenze “deboli” di Gerald Ford e Jimmy 
      Carter. 
       
      Il piano prevedeva un Blitzkrieg, una guerra-lampo, di due settimane in 
      cui le armate di Mosca avrebbero occupato Francia, Germania Ovest, Belgio, 
      Lussemburgo e Italia fino a Bologna. Poi, in un secondo momento, la 
      tenaglia si sarebbe chiusa con l’invasione di Spagna, Portogallo e sud 
      Italia. Conoscere i piani di difesa dei Paesi occidentali, perciò, era di 
      vitale importanza per il successo dell’operazione. 
       
      Perché il progetto non è stato attuato? 
       
      Esempi dell’aggressività sovietica in quegli anni non mancano: i 
      missili SS20, la guerra in Afghanistan… anche se, probabilmente, i 
      sovietici avevano fatto tesoro dello scacco subito nella guerra dello Yom 
      Kippur del 1973. Egitto e Siria avevano attaccato Israele con i migliori 
      armamenti sovietici, ma dopo i primi cinque giorni di successi, le sorti 
      del conflitto si erano capovolte e l’esercito israeliano, comandato da 
      Moshe Dayan e sostenuto dagli USA, aveva oltrepassato il Canale di Suez 
      minacciando direttamente Il Cairo. La superiorità occidentale era nel 
      sistema di comunicazione, nell’uso dei satelliti e tecnologie più avanzate 
      di quelle sovietiche. Mosca riteneva in un primo tempo che Washington 
      avrebbe abbandonato l’Europa alla sua sorte, poi certe “risposte forti”, 
      tipo gli Euromissili installati in Gran Bretagna, Italia e Germania 
      occidentale a partire dal 1983, funsero da deterrente insieme con l’arrivo 
      sulla scena internazionale di Ronald Reagan e il suo scudo stellare, 
      inaccessibile per costi e tecnologia all’URSS, e di Giovanni Paolo II, che 
      diede un duro colpo all’indispensabile controllo sulla Polonia. 
       
      Quindi il Papa polacco fu una spina nel fianco per il Cremlino? 
       
      Certamente: la chiave del piano d’invasione era proprio la Polonia, 
      destinata peraltro ad una massiccia distruzione atomica di rappresaglia 
      perché l’attacco sovietico prevedeva l’uso di oltre mille bombe come 
      quella di Hiroshima sulla sola Germania. Ma per garantirsi la fedeltà 
      della Polonia, da sacrificare poi senza pietà, bisognava eliminare il Papa 
      polacco e sostituirlo con uno gradito al Cremlino, come poteva essere il 
      cardinale Casaroli, fin troppo benvoluto ad Est. Ciò avrebbe spento in 
      Polonia le velleità di Solidarnosh e del suo leader Lech Walesa, che era 
      tra l’altro il secondo obiettivo da affidare ad Alì Agca durante una 
      visita a Roma del sindacalista, come gli fu spiegato ai primi di gennaio 
      del 1981 all’hotel Archimede da tre agenti bulgari. Agca, comunque, 
      rifiutò quel contratto. 
       
      Durante i lavori della Commissione che presiedevo, abbiamo effettuato 
      un’analisi fotografica che ha dimostrato inequivocabilmente che quel 13 
      maggio 1981 in Piazza San Pietro c’era Serghei Ivanov Antonov, caposcalo 
      della Balkanair, dietro Alì Agca. La minoranza di Centrosinistra presente 
      in Commissione ha chiesto un’ulteriore expertise che ha condotto al 
      medesimo risultato. Dalle nostre indagini abbiamo poi appurato che nel 
      progetto di eliminazione del Papa il KGB ebbe ordini di coordinamento 
      generale e la STASI tedesca quello di reclutare il personale e poi 
      compiere una vasta opera di disinformazione e intossicazione della stampa 
      occidentale, come poi avvenne, sia che l’attentato riuscisse, sia che 
      fallisse. 
       
      Il GRU sovietico ebbe l’ordine dal Ministero della Difesa a Mosca, che a 
      sua volta aveva avuto ordine direttamente da Breznev, di liquidare Wojtyla 
      per sgombrare la Polonia a fini militari. Ciò spiega perché il direttore 
      della CIA Bill Casey, morto nel 1987, sostenesse che i mandanti 
      dell’attentato fossero Breznev e Zhivkov e perché, paradossalmente, gli 
      Stati Uniti decisero di gettare acqua sul fuoco fino a far passare per 
      visionaria la giornalista americana Claire Sterling che già nel 1982 aveva 
      lanciato la “pista bulgara” che conduceva direttamente al Cremlino. 
       
      La Casa Bianca considerò che il coinvolgimento diretto di Breznev nel 
      tentato assassinio del capo della Chiesa Cattolica avrebbe potuto 
      trasformarsi in una “nuova Serajevo” e scatenare una guerra ben più 
      catastrofica della Prima Guerra Mondiale. Con Prodi e la sua fantasiosa 
      coalizione al governo si continuerà ad indagare su queste vicende? Non 
      credo. Anzi: mi aspetto a breve una massiccia campagna di delegittimazione 
      contro il lavoro svolto dalla Commissione e contro la mia stessa persona. 
      Durante gli anni del regime sovietico i manicomi erano pieni di persone 
      che avevano scoperto qualche verità… non mi meraviglierei di essere 
      definito “pazzo” da quanti, sebbene non amino ricordarlo, per anni si sono 
      ispirati ai metodi sovietici. 
      Fonte: 
      www.radicicristiane.it 
      
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