| Il cardinale e le coppie di fatto: 
            "Niente aiuti, 
            lo Stato le ignori" 
            Caffarra: 
            "l’Islam? 
            Dialogo interreligioso solo con gli ebrei" 
            Intervista di Aldo Cazzullo  | 
            
              
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BOLOGNA – Incute una certa impressione il 
      palazzo arcivescovile di Bologna, con la galleria dei ritratti dei legati 
      pontifici, che sedevano a palazzo D’Accursio dov’è ora Cofferati, e la 
      sala dei ritratti degli arcivescovi — Biffi, Poma, Lercaro, Della Chiesa 
      che a Roma divenne Benedetto XV — predecessori di Carlo Caffarra, che 
      Ratzinger ha elevato a cardinale. 
       
      Cardinal Caffarra, quale impressione ha tratto dal viaggio di Benedetto 
      XVI in Turchia? 
       
      "Nonostante le difficoltà che il Santo Padre stesso prevedeva, il viaggio 
      ha avuto un ottimo risultato. La Turchia rappresenta un unicum nel mondo 
      islamico: è la sola società musulmana organizzata in uno Stato 
      costituzionalmente laico. Il luogo in cui ci viene proposta con chiarezza 
      una delle sfide del papato di Benedetto XVI: la rilevanza pubblica della 
      fede religiosa". 
       
      Il Papa scalzo nella moschea che prega il "Dio unico". Istanbul è stata 
      letta come una svolta rispetto a Ratisbona. 
       
      "Non sono d’accordo con i commentatori che ritengono il successo del 
      viaggio pagato a un prezzo molto alto, la smentita di Ratisbona. L’idea 
      del Papa teologo contrapposto al Papa abile politico è una caricatura. 
      Vedo anzi tra Ratisbona e Istanbul profonda coerenza e continuità. Lo 
      posso verificare confrontando il discorso di Ratisbona con quelli che il 
      Santo Padre ha tenuto al ministro per gli Affari religiosi e con il corpo 
      diplomatico accreditato ad Ankara. In tutti e tre è immanente la stessa 
      idea di fondo: il dialogo tra i popoli, quindi la pace, si costruisce 
      sulla base dell’esercizio di una razionalità che non si chiude alla 
      dimensione religiosa, e di una fede che non voglia imporsi con altri 
      metodi che non siano l’argomentazione ragionevole". 
       
      Nel confronto con l’Islam c’è un problema di tenuta dei valori e 
      dell’identità occidentale? 
       
      "Credo di sì. Il problema c’è. I valori che definiscono l’identità 
      occidentale sono stati in larga misura generati dalla fede cristiana. La 
      fede cristiana è stata a lungo il terreno che li ha nutriti. Ora questa 
      matrice si sta erodendo nella coscienza di molti. Mi chiedo per quanto 
      tempo potremo godere di questa eredità, mentre stiamo dissipando ogni 
      giorno di più il capitale che la alimenta. Quale identità culturale stiamo 
      esibendo a chi occidentale non è? Non è forse sempre più un’identità 
      formale priva di contenuti? In quale universo di significati noi chiediamo 
      a chi arriva di integrarsi? Stiamo progressivamente riducendo la nostra 
      convivenza alla condivisione di regole puramente procedurali da parte di 
      stranieri morali". 
       
      In che senso "stranieri morali"? 
       
      "Nel senso che non viviamo sullo stesso fondamento, dentro lo stesso 
      ethos. Rispondiamo in maniera contraria alle domande di fondo della vita. 
      È questa l’identità che proponiamo? Se davvero e così, allora viviamo un 
      grande impoverimento. Da qui la riflessione di Benedetto XVI su un 
      Occidente del tutto secolarizzato non più in grado di dialogare con le 
      culture in cui il senso religioso e ancora presente; cioè tutte, 
      dall’Estremo Oriente all’Islam, escluse quelle occidentali". 
       
      Nel mondo cattolico si levano voci nuove a proposito degli ebrei. 
      Ratzinger visita la sinagoga di Colonia. Padre Pizzaballa da Gerusalemme 
      chiede alla Chiesa un atteggiamento più aperto verso l’ebraismo. Lei vede 
      tracce di questo atteggiamento? 
       
      "Questo è un punto fondamentale, oltre che una mia personale passione: 
      l’incontro con Israele, il dialogo con Israele. Vedo sempre più 
      chiaramente che non si può essere cristiani se non si è ebrei. 
      Personalmente, il dialogo interreligioso vero e proprio lo vedo 
      praticabile solo con l’ebraismo. Perché c’è discendenza spirituale di me 
      cristiano da Israele. San Paolo dice di noi, che ebrei non siamo, che 
      siamo diventati figli di Abramo". 
       
      Quindi l’immagine degli incontri di Assisi, con l’induista, il buddista, 
      l’islamico... 
       
      "Potrebbero ingenerare confusione nei fedeli. Con l’Islam possiamo 
      incontrarci negli ambiti del vivere umano, sul tema della ragionevolezza, 
      della concezione della vita, dell’educazione. Ma il rapporto che io 
      cristiano ho con Israele non è equiparabile al rapporto che io cristiano 
      ho con altre religioni". 
       
      Qual è la sua opinione nel dibattito sul "meticciato", visto ora come 
      allarme ora come positiva contaminazione di razze e culture? 
       
      "È un nodo centrale della nostra convivenza: Fino a che punto può e deve 
      spingersi una politica liberale nei confronti delle varie identità, senza 
      che la pluralità risulti incompatibile con la pace e l’ordine sociale? Il 
      modello assimilazionista francese ha dato una risposta tragicamente 
      insoddisfacente. Il modello marginalizzante non è praticabile, quando i 
      flussi migratori sono molto forti. Il modello inglese dell’autogoverno 
      delle minoranze, come si è visto, non porta al superamento dei conflitti 
      ma alla balcanizzazione della vita associata. Resta il modello 
      integrazionista. A patto di mettere in chiaro alcuni punti: va rispettato 
      il primato della dignità di ogni persona e il valore di ogni vita; va 
      riconosciuta alle culture una loro rilevanza nella sfera pubblica; la 
      neutralità dello Stato non dev’essere indifferenza a ospitare qualsiasi 
      concezione di vita; si deve identificare un nucleo di valori non 
      negoziabili. Ad esempio: uguale dignità tra uomo e donna; monogamia nel 
      matrimonio; libertà di scegliere la fede ed eventualmente di abbandonarla. 
      E va sancita l’indisponibilità dello Stato a tollerare processi di non 
      convergenza su questo zoccolo duro". 
       
      Il ministero dell’Interno se ne sta occupando. Ci riuscirà? Lei è 
      ottimista o pessimista? 
       
      "Sulla possibilità di realizzare quel progetto di integrazione a breve o 
      medio termine, non sono ottimista. Non intendo in nessun modo alimentare 
      scontri o promuovere aggressività. Ma non possiamo più accettare i canoni 
      di una cultura fondamentalmente relativista e indifferentemente aperta a 
      tutto. Nessun organismo può sopravvivere senza sistema immunitario; prima 
      o poi un virus vi entra e lo distrugge. A lungo termine invece sono 
      ottimista; a patto di recuperare la nostra grande cultura, non relativista 
      ma aperta, inclusiva ma decisa a fronteggiare ciò che la minaccia". 
       
      Personalità influenti sono additate come "teo-con": una definizione 
      polemica, da loro respinta, per indicare non credenti che guardano alla 
      Chiesa come nucleo di valori forti. Qual è la sua opinione al riguardo? 
       
      "Il fenomeno esiste, e non solo in Italia. L’ho verificato in America, 
      Francia, Inghilterra. A Verona il Santo Padre ci ha invitati a guardarlo 
      con molta attenzione. Questi uomini hanno il merito di porre alla 
      coscienza di noi credenti alcuni problemi molto importanti, a maggior 
      ragione in questo momento di emergenza educativa. La rilevanza pubblica 
      della fede cristiana non può più essere affrontata con un concetto di 
      laicità che loro, e anch’io, considerano obsoleto. Questi uomini 
      considerano impraticabile l’ipotesi di una società civile e politica 
      completamente secolarizzata; si capisce così la loro profonda sintonia con 
      il magistero di Benedetto XVI. Richiamano noi credenti a un fatto centrale 
      della nostra fede: o la fede cristiana ha qualcosa da dire all’uomo in 
      carne e ossa, con le sue domande di senso della vita e di giustizia, o e 
      una fede vacua. Propongono un’idea e un uso della ragione non riducibile a 
      quella strettamente scientifica e funzionalista. Sono felice che alcuni mi 
      onorino della loro amicizia". 
       
      Non solo la Chiesa italiana ma anche il Vaticano si schiera contro la 
      legge sulle unioni civili. I cattolici del centrosinistra la difendono 
      annotando che si tratta solo di riconoscere diritti. 
      
       
      "Credo ci si debba chiedere se è possibile tutelare i diritti dei 
      componenti delle coppie di fatto con semplici modifiche del codice civile. 
      Competenti civilisti da me interpellati mi dicono di sì. Lo si faccia, 
      senza che questo implichi un riconoscimento sociale, una sanzione pubblica 
      dell’unione di fatto. Vedo uno stretto legame di questo problema con 
      l’emergenza educativa. Se noi diamo un riconoscimento pubblico 
      introduciamo nell’ordinamento giuridico la possibilità alternativa tra 
      l’accedere a diritti peculiari di chi vive coniugalmente i propri affetti 
      e l’accedere agli stessi diritti vivendo i propri affetti 
      provvisoriamente. Io non do giudizi sulle persone, né sui legislatori. 
      Chiedo solo: quale tra queste due scelte promuove il bene comune, 
      promuovendo il capitale sociale? Quale invece rischia di eroderlo? Questo 
      intende Benedetto XVI — credo — quando parla di amori fragili, di libertà 
      provvisorie che non possono essere confrontate con la definitività della 
      scelta del matrimonio". 
       
      Secondo il governo, la legge tutela diritti, non intende creare una nuova 
      forma di matrimonio. 
       
      "Nei confronti degli stili di vita, lo Stato può assumere cinque diverse 
      attitudini: punizione, tolleranza, ignoranza, rispetto, condivisione. 
      Escludiamo le prime due. Se sono per definizione unioni di fatto, allora 
      lo Stato le ignori. Non occorre che le condivida al punto da favorirle.
      L’alternativa non e tra codice penale e sostegno positivo; in mezzo c’è 
      un’altra possibilità. I giovani non si sposano più, perché temono la 
      definitività. Generano meno figli, perché hanno più paura che speranza. 
      Vedo un grave malessere spirituale. La via da percorrere è questa? Non lo 
      dico per la mia fede, ma per il bene della convivenza civile; non 
      dimentico che per generarla non poche persone hanno dato la vita". 
       
      Potranno mai sposarsi i preti, come auspica il cardinale Hummes? 
       
      "La Chiesa non proibisce — perché non lo può fare — a nessuno di sposarsi. 
      Ha deciso di amministrare il sacramento dell’ordine solo al battezzato che 
      da Cristo riceve il dono della chiamata alla verginità perfetta e 
      perpetua. La domanda vera è: la Chiesa può legare un sacramento a un 
      carisma speciale come la verginità consacrata? Sì. Il sacramento 
      dell’ordine non è necessario per la salvezza; anzi, lo dico da vescovo, la 
      mette seriamente in pericolo (il cardinale sorride). Per essere un vero 
      pastore, sposo della Chiesa, dedito a ciascuna persona, è meglio se sei 
      anche vergine nel cuore e nel corpo. Il celibato è una delle perle della 
      Chiesa latina e anche la Chiesa orientale ordina vescovi solo i vergini". 
       
      A lei non manca mai una famiglia? 
       
      "Sinceramente, no. L’esercizio del ministero pastorale esalta al centuplo 
      il desiderio che ogni uomo normale ha della paternità. Il centuplo promise 
      Gesù, e le assicuro che è vero. Certo, come le grandi scelte, il 
      sacerdozio è una spada a due tagli. Può esaltare l’umanità come la può 
      degradare. Ma questo vale anche per il matrimonio". 
       
      La Curia di Bologna è stata accusata di interferenze, sia per la condanna 
      dei finanziamenti della giunta a un festival omosessuale, sia per la 
      denuncia sul degrado urbanistico delle periferie. Sono accuse 
      giustificate? O è dovere della Curia occuparsi della vita della comunità? 
       
      "Io, noi condividiamo con grande passione il destino di questa città. Amo 
      Bologna ogni giorno di più, come si ama una bella donna. Qualsiasi sfregio 
      le si faccia suscita in me un senso di gelosia e di dolore inenarrabile. 
      Tacere sarebbe segno di disinteresse per il destino di questo popolo. 
      Bologna appartiene al patrimonio spirituale dell’umanità. Qui è nata 
      l’università, la grande intuizione della Chiesa per cui fede e ragione non 
      solo possono ma devono vivere assieme, fecondandosi reciprocamente: la 
      grande lezione di Ratisbona. Credo di non essere esagerato né retorico se 
      dico che la scomparsa spirituale di Bologna impoverirebbe l’umanità 
      intera". 
      Fonte: giovedì 
      14/12/2006 CORRIERE DELLA SERA 
      
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