| 
             
            
I cristiani invisibili della Terra Santa 
            Sono arrivati in Israele dalla 
            Russia e dall’Ucraina. Sono più numerosi degli appartenenti alle 
            Chiese storiche ma non rientrano in nessun conteggio. 
             
            Ebrei osservanti, cristiani 
            ortodossi, cattolici se ne contendono la conquista 
   | 
           
         
        
       
      ROMA, 29 marzo 2005 
      Alla Pasqua di rito latino, a 
      Gerusalemme, sono accorsi quest’anno 15.000 pellegrini da tutto il mondo, 
      in netto aumento rispetto agli anni passati. Dello stesso numero, 15.000, 
      sono anche i cristiani che vivono oggi nella città santa.  
      Questi però non sono in aumento, ma in diminuzione. Nel 1948 i cristiani a 
      Gerusalemme erano 30.000. Con una normale crescita demografica sarebbero 
      divenuti oggi 120.000. E anche nell’insieme della Terra Santa i cristiani 
      sono fortemente diminuiti. Un secolo fa erano il 10 per cento della 
      popolazione tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Oggi sono meno 
      del 2 per cento: circa 130.000 in Israele e 50.000 nei Territori e a Gaza.
       
       
      Vi sono però anche dei cristiani che non figurano in queste statistiche e 
      che, se conteggiati, le rivoluzionerebbero. Elisa Pinna, esperta di 
      questioni religiose internazionali per l’agenzia giornalistica ANSA, in un 
      suo recentissimo libro-inchiesta sul “Tramonto del cristianesimo in 
      Palestina”, li chiama “i cristiani invisibili”.  
       
      Scrive Elisa Pinna:  
       
      “Sono i cristiani più misteriosi della Terra Santa: gli ebrei non ebrei, 
      cristiani in incognito. Non sono mai stati ebrei, ma per opportunismo 
      hanno finto e fingono di esserlo. È una realtà poco conosciuta, e di cui 
      poco si parla, perché imbarazza molti. Una realtà che data dal periodo 
      della grande immigrazione in Israele dall’ex Unione Sovietica, a cavallo 
      tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento.  
       
      “Grazie alla legge del ritorno, in appena quattro anni, dal 1989 al 1993, 
      arrivarono in Israele oltre un milione di ebrei russi o ucraini, dando 
      vita alla più grande ‘alja’, ascesa alla terra promessa, dalla fine della 
      seconda guerra mondiale. Questi ‘olim’, nuovi cittadini israeliani, furono 
      inviati dove più era necessario equilibrare la pressione demografica della 
      popolazione araba in Israele, o anche in Cisgiordania. Una parte cospicua 
      di loro si stabilì in Galilea, a Nazareth.  
       
      “Ma tra gli immigrati molti non erano affatto ebrei, e i primi ad 
      accorgersene furono i rabbini ortodossi, indignati nello scoprire i nuovi 
      arrivati del tutto digiuni degli insegnamenti del Talmud e poco propensi a 
      rispettare norme e divieti, soprattutto in campo alimentare.  
       
      “Uno studio svolto nel 1999 illustra le dimensioni del fenomeno: su circa 
      86.000 nuovi immigrati presi in esame, tutti riconosciuti cittadini 
      israeliani dalle autorità dello stato ebraico, il 53 per cento non poteva 
      essere considerato ebreo secondo la legge, perché non aveva madre ebrea, e 
      il 38 per cento non aveva nemmeno il padre ebreo. Non si sa quanti tra 
      questi siano cristiani e quale sia la loro autentica identità religiosa. 
      Sono in molti a ritenere che questi nuovi cristiani israeliani siano 
      persino più numerosi dei cristiani arabi palestinesi. ‘Sono 400-500.000 i 
      non ebrei arrivati dalla Russia e la maggior parte di loro sono cristiani’, 
      dice Aristarcos, il portavoce del patriarcato greco-ortodosso di 
      Gerusalemme. ‘Sono un oceano, difficile dire quanti’, conferma il vescovo 
      latino per i cristiani di Israele, Boutros Marcuzzo, precisando però che 
      molti sono di fatto non credenti, atei: difficile iscriverli d’ufficio tra 
      i cristiani.  
       
      “Le autorità israeliane sperano che gran parte di questi immigrati senza 
      identità religiosa si assimili alla maggioranza ebraica, grazie anche ai 
      legami familiari che molti di essi hanno con autentici ebrei. [...] Per 
      fronteggiare il fenomeno degli immigrati russi non ebrei venne creata alla 
      fine degli anni Novanta un’organizzazione governativa, l’Istituto di Studi 
      Ebraici, incaricata di promuovere la giudaizzazione dei nuovi israeliani 
      non ebrei, più o meno 250.000 secondo le stime dello stesso organismo. Al 
      momento, circa 2.500 immigrati sono stati coinvolti dalle iniziative 
      dell’istituto.  
       
      “Sotterranea, è però partita la guerra delle conversioni. O per meglio 
      dire, dal punto di vista delle Chiese cristiane, ha avuto inizio una 
      campagna di ‘rievangelizzazione’ a difesa dell’identità cristiana 
      originaria degli immigrati. I nuovi venuti sono per lo più russi e ucraini 
      e, di conseguenza, in stragrande maggioranza ortodossi. Ma la crisi del 
      patriarcato greco di Gerusalemme, paralizzato da una leadership contestata 
      e da propri guai economici e finanziari, impedisce alla Chiesa ortodossa 
      di affrontare adeguatamente la sfida.  
       
      “Si sono aperti quindi spazi insperati all’iniziativa della Chiesa 
      cattolica, che si è affrettata a inviare nella nuova terra di 
      evangelizzazione, in mezzo a colonie e insediamenti ebraici, una decina di 
      sacerdoti in grado di parlare russo o ucraino. La missione è delicata e la 
      riservatezza necessaria. Possono nascerne problemi seri con gli 
      israeliani, per i quali la conversione al giudaismo dei nuovi arrivati è 
      un obiettivo irrinunciabile. Ma possono derivarne complicazioni gravi 
      anche con gli ortodossi, che già hanno con i cattolici un’annosa 
      controversia per il proselitismo in Ucraina e in Russia: l’attivismo 
      cattolico tra gli ortodossi di quei paesi è una delle materia più spinose 
      del contenzioso tra il Vaticano e il patriarcato di Mosca. L’estensione 
      alla Terra Santa di questa controversia potrebbe avere conseguenze pesanti 
      nei rapporti tra le due Chiese. Per tale motivo, dell’attività dei 
      sacerdoti attivi tra gli immigrati nessuno parla, al patriarcato latino. 
      Ufficialmente non esistono”. 
      
      * * * 
      
      Il libro di Elisa Pinna è di grande 
      interesse. Racconta con efficacia le traversie del patriarcato ortodosso 
      di Gerusalemme, l’equilibrio instabile tra le varie confessione cristiane 
      al Santo Sepolcro, la resistenza della cittadella armena, l’attivismo 
      sionista dei cristiani evangelical, la riconquista musulmana di 
      Betlemme... È insomma un viaggio tra le comunità cristiane in Terra Santa, 
      strette tra molti pericoli, tentate di emigrare e troppo spesso 
      dimenticate dai cristiani che vivono in Europa e nel mondo.  
       
      Proprio per esser loro vicini, il Venerdì Santo nelle chiese cattoliche di 
      tutto il mondo è d’uso fare una colletta di denaro per i cristiani di 
      Terra Santa. Quest’anno la colletta è stata sollecitata all’inizio della 
      Quaresima – con un appello ai vescovi e ai nunzi di tutto il mondo – dal 
      prefetto della congregazione vaticana per le Chiese orientali, il 
      cardinale Ignace Moussa I Daoud. È una tradizione che risale ai tempi 
      della Chiesa primitiva. Lo stesso apostolo Paolo sollecitò infatti le 
      comunità in Asia Minore a sostenere i confratelli di Gerusalemme.  
       
      Ma chi sono e a quali Chiese appartengono i cristiani – quelli “visibili” 
      – che oggi vivono in Israele e nei Territori? Eccone qui di seguito un 
      prospetto riassuntivo, ripreso dalla sezione finale del libro di Elisa 
      Pinna: 
      
        
        
          
            | 
             
            Tutte le Chiese di Gerusalemme e dintorni
              | 
           
         
        
       
      IL PATRIARCATO ORTODOSSO 
       
      Il patriarcato ortodosso di Gerusalemme fu istituito dal Concilio di 
      Calcedonia nel 451, ritagliandone il territorio dal preesistente 
      patriarcato di Antiochia. Al pari di Costantinopoli, Alessandria e 
      Antiochia, Gerusalemme si distanziò progressivamente dalla cristianità 
      latina, fino alla rottura del 1054 allorché lo scisma si consumò con la 
      reciproca scomunica tra Roma e Bisanzio. Dal 1534 i patriarchi di 
      Gerusalemme sono tutti di origine greca, motivo di tensioni anche assai 
      serie con il clero di lingua araba. Il patriarca è assistito da un Santo 
      Sinodo di diciotto membri nominati dal patriarca stesso, ed è eletto tra i 
      membri di una confraternita monastica, la Fratellanza del Santo Sepolcro, 
      istituita nel XVI secolo, che attualmente conta circa novanta religiosi di 
      origine greca e quattro palestinesi. In Terra Santa la Chiesa 
      greco-ortodossa conta circa 65.000 fedeli, di cui 45.000 in Israele e 
      20.000 a Gerusalemme e nei Territori palestinesi. Poco più di duecento 
      sono greci, tutti gli altri sono arabi. In queste cifre non sono compresi 
      gli ortodossi di origine russa immigrati in Israele come ebrei.  
       
      LA CHIESA MELCHITA  
       
      Dopo il Concilio di Calcedonia del 451, il termine melchita (dalla parola 
      siriaca che significa re) indicò quanti, nei patriarcati di Antiochia, 
      Gerusalemme e Alessandria, si schierarono sul piano teologico a favore dei 
      decreti di quel Concilio e sul piano politico a favore di Bisanzio, mentre 
      la maggioranza dei tre patriarcati manifestava insofferenza per il 
      centralismo imperiale. Nel XVIII secolo, a seguito della crescente 
      influenza dell’Occidente cattolico nel Medio Oriente e per effetto della 
      predicazione di gesuiti, cappuccini e carmelitani, si formò nel 
      patriarcato ortodosso di Antiochia una corrente filo-cattolica, che 
      riprese l’antica denominazione di melchita. Nel 1729 la frattura fu 
      ufficializzata con la nascita del patriarcato cattolico dei greco-melchiti, 
      che presto si diffuse anche in Palestina ed Egitto. La Chiesa melchita 
      conta circa 50.000 fedeli in Israele, concentrati soprattutto in Galilea, 
      e 3.000 a Gerusalemme e nei Territori.  
       
      IL PATRIARCATO LATINO 
       
      Il patriarcato latino di Gerusalemme costituisce l’organizzazione 
      gerarchica delle comunità cattoliche di rito romano in Palestina. Il primo 
      patriarca latino fu insediato a Gerusalemme dai crociati nel 1099. I suoi 
      successori esercitarono le loro funzioni nella città santa fino alla sua 
      riconquista da parte del Saladino, nel 1187, trovando poi rifugio nella 
      roccaforte crociata di San Giovanni d’Acri. Caduta anche quest’ultima, nel 
      1291, il patriarcato continuò con titolari regolarmente nominati dai papi, 
      ma residenti in Europa. Nel 1847, le mutate condizioni politiche resero 
      possibile il ritorno della sede patriarcale nella Gerusalemme ottomana. 
      Dal 2003, un vescovo del patriarcato si dedica espressamente alla “cura 
      pastorale dei fedeli cattolici di espressione ebraica” viventi in Terra 
      Santa, alcune centinaia. I cattolici latini sono 15.000 in Israele e 
      10-15.000 a Gerusalemme e nei Territori.  
       
      LA CHIESA MARONITA 
       
      Nata nel IV secolo dalla predicazione di san Marone, la Chiesa maronita 
      assunse una distinta identità nel secolo VIII, costituendo sulle montagne 
      libanesi un’enclave cristiana in grado di resistere alla progressiva 
      islamizzazione dei territori circostanti. A capo di questa chiesa fu posto 
      un patriarca “di Antiochia e di tutto l’Oriente”. Alleata dei crociati, 
      nel 1182 la Chiesa maronita dichiarò la sua unione con Roma. I maroniti 
      trovarono più tardi nella Francia un sostegno nella loro opposizione alla 
      dominazione ottomana. I 5.000 maroniti della Terra Santa sono concentrati 
      soprattutto in Galilea. 
       
      LA CHIESA ASSIRA 
       
      La Chiesa Assira nasce dalle comunità cristiane che fin dal II secolo si 
      erano radicate in Mesopotamia e che nel III secolo si trovarono soggette 
      all’impero iraniano sassanide, dunque fuori dall’universo politico, 
      culturale e teologico dell’impero romano. In questo relativo isolamento 
      dall’Occidente, i cristiani della Mesopotamia si diedero un’organizzazione 
      ecclesiale con al vertice un patriarca “catholicos”, che risiedeva nella 
      capitale persiana. Furono influenzati dalla teologia della scuola di 
      Antiochia e si orientarono all’accettazione delle posizioni di Nestorio. 
      Nel 431 il concilio di Efeso condannò tali posizioni e alla fine del 
      secolo i nestoriani furono espulsi dal territorio romano, trovando 
      accoglienza nella Chiesa assira.  
       
      I missionari nestoriani diffusero la Chiesa Assira fino in India, in 
      Tibet, in Cina e in Mongolia. La loro influenza nell’impero sassanide era 
      rilevante: quando nel 614 i persiani occuparono Gerusalemme, le reliquie 
      custodite nella basilica costantiniana furono inviate nella capitale 
      sassanide in dono all’imperatrice Meryam, che era una cristiana nestoriana. 
      L’influenza della chiesa nestoriana continuò anche dopo la conquista 
      araba. Quando i califfi abbasidi portarono la capitale del loro impero a 
      Baghdad, questa divenne la sede anche del catholicos. A segnare la fine 
      dello splendore della Chiesa assira fu l’invasione dei mongoli di 
      Tamerlano. Nel XVI secolo, la Chiesa assira era ridotta a una debole 
      presenza nell’Anatolia orientale, nella Mesopotamia settentrionale e in 
      India. La consistenza della Chiesa assira in Terra Santa è ridotta a poche 
      decine di famiglie. 
       
      LA CHIESA CALDEA 
       
      La Chiesa caldea è nata nel XVI secolo da uno scisma della Chiesa assira. 
      Già dal XV secolo la carica di catholicos era divenuta di fatto 
      ereditaria, tramandandosi all’interno della stessa famiglia. Ciò suscitò 
      l’opposizione di gruppi che si sentirono emarginati. Nel 1552, l’ennesima 
      elezione di un patriarca all’interno della famiglia dominante produsse 
      l’opposizione esplicita di alcuni vescovi, che scelsero un loro patriarca 
      e ricercarono la protezione di Roma. Papa Giulio III accolse la richiesta 
      e convalidò la nomina del patriarca scismatico, conferendogli il titolo di 
      patriarca dei cattolici caldei. Anche i caldei sono in Terra Santa una 
      presenza esigua: qualche famiglia nella zona di Haifa. 
       
      LA CHIESA APOSTOLICA ARMENA 
       
      Gli armeni furono il primo popolo a convertirsi in blocco al 
      cristianesimo, all’inizio del IV secolo. Rifiutarono il Concilio di 
      Calcedonia del 451 e di conseguenza abbracciarono il monofisismo, ossia la 
      dottrina cristologica condannata da quel Concilio, al pari delle Chiese 
      copta, siriaca ed etiope. L’istituzione del patriarcato armeno di 
      Gerusalemme seguì la conquista araba della città, che privò la Chiesa 
      greco-ortodossa del sostegno costituito dal potere imperiale bizantino. Il 
      primo patriarca armeno, il vescovo Abraham, fu riconosciuto nel 638 dal 
      califfo Omar. A Gerusalemme vivono 1.500 armeni e qualche altro centinaio 
      è disperso tra Territori e Israele. 
       
      LA CHIESA COPTA 
       
      I dettami di Calcedonia furono respinti dalla gran maggioranza della 
      chiesa egiziana. Si ebbero così in Egitto due chiese, una fedele a 
      Calcedonia con un patriarca ad Alessandria ed una monofisita, il cui 
      patriarca risiedeva nel convento di San Macario, nel deserto. L’invasione 
      araba del 641 segnò l’inizio del declino dei copti. La Chiesa copta in 
      Terra Santa conta su qualche decina di monaci a Gerusalemme. 
       
      LA CHIESA SIRIACA 
       
      Anche ad Antiochia, come ad Alessandria, il concilio di Calcedonia provocò 
      una frattura nella comunità cristiana. La città di Edessa fu per i 
      monofisiti siriaci quello che i monasteri del deserto furono per i copti. 
      Chiamati anche giacobiti, dal nome del vescovo di Edessa Jacob Baradai, i 
      siriaci si radicarono lontano dalle coste mediterranee, più soggette 
      all’influenza di Bisanzio, e si integrarono nelle nuove strutture 
      arabo-islamiche, assumendo responsabilità amministrative e contribuendo 
      alle traduzioni di opere greche e persiane promosse dai califfi abbasidi. 
      Al pari dei nestoriani della Chiesa assira, anche i siriaci si spinsero in 
      profondità nell’Asia. Declinarono tra il XIII e il XV secolo, sotto l’urto 
      delle invasioni mongole. I siriaci in Terra Santa sono circa trecento, 
      duecento dei quali vivono a Gerusalemme. 
       
      LA CHIESA ETIOPE 
       
      Nonostante la sua autonomia formale dalla Chiesa copta sia assai recente 
      (grazie a un accordo del 1948 che ha portato nel 1951 all’elezione del 
      primo metropolita etiope), le radici della Chiesa etiope sono 
      antichissime: il cristianesimo divenne religione di stato nel 330, per 
      decisione dell’imperatore Ezana. Alla fine del V secolo, secondo la 
      tradizione, arrivarono in Etiopia i “nove santi”, in fuga dalla terre 
      bizantine per le loro opposizione alle decisioni di Calcedonia. Per loro 
      impulso, la cristianizzazione dell’Etiopia fece grandi progressi, 
      sovrapponendosi a preesistenti elementi ebraici, quali la circoncisione e 
      determinati usi alimentari. I fedeli della Chiesa etiope in Terra Santa 
      assommano a un centinaio di persone, concentrate a Gerusalemme. 
       
      LA CHIESA CATTOLICA ARMENA 
       
      Un primo tentativo di riavvicinamento tra la Chiesa armena e Roma si ebbe 
      ai tempi delle crociate, allorché il regno armeno di Cilicia fu un 
      importante alleato per gli eserciti cristiani. In seguito, la predicazione 
      dei domenicani portò alla formazione di comunità armeno-cattoliche, alle 
      quali nel 1742 papa Benedetto XIV assegnò un patriarca. Dal 1829 questi ha 
      sede a Istanbul. La Chiesa cattolica armena conta in Terra Santa alcune 
      decine di famiglie tra Gerusalemme, Beit Jala, Haifa, Nazareth e Ramallah.
       
       
      LA CHIESA CATTOLICA COPTA 
       
      Nel solco della presenza francescana in Egitto, nel 1630 i cappuccini 
      fondarono una missione al Cairo, seguiti nel 1675 dai gesuiti. Il frutto 
      di questa predicazione fu la formazione di comunità cattoliche copte che, 
      dal 1824, ebbero un loro patriarcato. Solo qualche religioso testimonia in 
      Terra Santa la presenza della Chiesa cattolica copta.  
       
      LA CHIESA CATTOLICA SIRIACA 
       
      Nel XVII secolo la predicazione cattolica in Siria portò alla formazione 
      di comunità favorevoli all’unione con Roma. Il patriarcato fu inizialmente 
      stabilito ad Aleppo ma dopo persecuzioni e massacri, alla fine la Chiesa 
      cattolica siriaca trovò rifugio in Libano. In Terra Santa i cattolici 
      siriaci sono tra duecento e trecento, sparsi tra Gerusalemme, Jaffa, Lod, 
      Haifa e Betlemme. 
       
      LA CHIESA CATTOLICA ETIOPE 
       
      Nel 1622 l’imperatore etiope Susenyos, alleatosi con il Portogallo contro 
      i turchi, proclamò il cattolicesimo religione di stato ma nel 1636 un 
      nuovo sovrano cacciò i cattolici e chiuse l’Etiopia all’attività 
      missionaria. La predicazione cattolica riprese alla fine del XIX secolo e, 
      più massicciamente, durante l’occupazione italiana dal 1935 al 1941. La 
      Chiesa cattolica etiope fu costituita nel 1961. I cattolici etiopi in 
      Terra Santa si riducono a un esiguo gruppo di monaci e religiosi.  
       
      di Sandro 
      Magister, vaticanista de l'Espresso. 
       
      Il libro: Elisa Pinna, “Tramonto del 
      cristianesimo in Palestina”, Piemme, Casale Monferrato, 2005, pp. 238, 
      euro 13,90. 
      
      INDIETRO  |