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LA VITA NELLE MANI: 
            Michel 
            Petrucciani  | 
            
             
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      Ritratto di Michel 
      Petrucciani, il pianista di jazz che si è esibito davanti al Papa nel 
      concerto del Congresso eucaristico e ha avuto con lui un intenso 
      "colloquio" fatto di sguardi: un esempio di coraggio, nonostante il grave 
      handicap fisico. 
      Il pianista di jazz e il Papa sono lì che 
      si guardano. Si vede che vorrebbero farsi più vicini l’uno all’altro. Ma 
      non possono: quei nove gradini che li separano sono troppi per il piccolo 
      musicista, storpiato da una gravissima malattia ossea, e per il vecchio 
      Papa stanco. Il musicista ha lasciato il pianoforte e si è spinto fin 
      sotto il palco papale appoggiandosi alle stampelle; poi ha messo una mano 
      sul petto e si è inchinato in segno di rispetto e, chissà, forse di 
      qualcos’altro. Il Papa lo ha guardato con gli occhi lucidi e ha teso con 
      slancio le mani verso di lui, in segno di saluto e, chissà, forse anche di 
      benedizione. 
       
      Milioni di persone davanti alla televisione, oltre ai trecentomila giovani 
      presenti a Bologna, hanno fatto così, durante il concerto che si è tenuto 
      sabato 27 settembre nel corso del Congresso Eucaristico Nazionale, la 
      conoscenza di Michel Petrucciani, uno dei più apprezzati pianisti del jazz 
      contemporaneo ma anche un uomo che, al di là della sua dolorosa condizione 
      fisica, esprime attraverso la musica una grande gioia di vivere e di 
      comunicare. 
       
      L’incontro tra Michel e il Papa è stato commovente e autentico, 
      sicuramente uno dei momenti più intensi dell’intero concerto. Ma chi 
      conosce almeno un po’ questo piccolo grande personaggio nato 35 anni fa a 
      Orange, nel Sud della Francia, da genitori di origine napoletana, non se 
      ne stupisce affatto. «Suonare per me è comunicare », ha detto Petrucciani 
      in una lunga intervista rilasciata nel luglio dell’anno scorso al mensile 
      Musica Jazz. «Mi preoccupo molto di far intendere chiaramente quello che 
      voglio esprimere. Sia quando parlo, sia quando faccio musica: per me è la 
      stessa cosa ». 
       
      E per non lasciare nulla di inespresso, di poco chiaro, qualche anno fa ha 
      chiamato in studio di registrazione i giornalisti durante la realizzazione 
      di un suo disco, inciso in coppia con l’organista Eddy Louiss, 
      significativamente intitolato Conférence de presse, "Conferenza stampa". 
       
      Al concerto di Bologna Petrucciani si è prima esibito in duo con Lucio 
      Dalla al clarinetto, poi ha suonato da solo un suo brano, Little piece in 
      C for you, "Piccolo pezzo in do per te": un lieve, delicato gioiello, 
      tipico del suo pianismo lirico e insieme brillante, che ha evidentemente 
      voluto dedicare al Papa. Un omaggio denso di stima e affetto, che Giovanni 
      Paolo II ha mostrato di apprezzare (del resto Karol Wojtyla non è del 
      tutto nuovo ad esperienze jazzistiche, per quanto strano possa sembrare: 
      nel 1984 la grande cantante Sarah Vaughan incise un disco, One world, one peace, "Un solo mondo, una sola pace", che presentava sei canzoni tratte 
      da poesie di Giovanni Paolo II). 
       
      Sposato e divorziato, padre di due figli, Petrucciani ha cominciato a 
      suonare prestissimo, grazie all’incoraggiamento dei familiari, tutti 
      musicisti. Dopo una lunga e rigorosa formazione classica, a tredici anni 
      ha cominciato a esibirsi in pubblico, prima in Francia, con l’amico 
      batterista Aldo Romano, suo "angelo custode" (lo portava in braccio al 
      pianoforte prima dei concerti), poi negli Stati Uniti, dove risiede da 
      oltre quindici anni. Dopo aver sperimentato ogni tipo di formazione, dal 
      trio con basso e batteria a gruppi di maggiori dimensioni, da qualche anno 
      Michel privilegia la formula del piano solo, presentandosi davanti al 
      pubblico senza accompagnatori. 
      
        
        
          
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            «Volevo sentirmi libero come un uccello »   | 
            
             
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      «Quando mi siedo in solitudine alla 
      tastiera », racconta, «mi sento bene: ho una comunicazione diretta con il 
      pubblico, posso improvvisare, fare tutto quello che mi passa per la testa. 
      Sono libero come l’aria. Quando ho cominciato questo mestiere avevo voglia 
      di sentirmi libero come un uccello, di poter volare dove mi pareva. Questa 
      sensazione l’ho trovata con il piano solo ». 
       
      La musica come ponte verso l’esterno, verso gli altri. E come grimaldello 
      grazie al quale spezzare la gabbia di quel corpo deforme, dentro cui il 
      suo spirito non riesce a stare chiuso. I suoi amici, quelli che lo 
      conoscono bene, dicono che Michel non è solo un grandissimo musicista. 
      Aldo Romano parla così di lui: «Musicalmente parlando è bravissimo. Ma 
      sono la sua vitalità, l’energia, la voglia di suonare, in effetti la sua 
      voglia di vivere che ci conquistano. È davvero una lezione di vita, e non 
      solo per come sopporta la sua condizione fisica. Ha dovuto affrontare 
      degli handicap sociali almeno altrettanto difficili ». 
       
      Forse è per questo che Michel Petrucciani ha tanto colpito durante la sua 
      breve esibizione al Congresso Eucaristico: perché è un esempio di 
      coraggio, di voglia di vivere nonostante i tremendi problemi che si porta 
      addosso. E forse è per questo che i trecentomila giovani presenti al 
      concerto, che in massima parte non l’avevano mai visto né sentito suonare, 
      e nemmeno apprezzano il jazz, l’hanno applaudito con tanto entusiasmo. Un 
      entusiasmo raddoppiato da quella sua umile, faticosissima camminata con le 
      stampelle verso il Papa. 
       
      La musica e la vita, la vita e la musica: due dimensioni che Michel non 
      vuole e non può separare. Tutta la musica, dalla Callas a Duke Ellington, 
      da Miles Davis a Rachmaninov, in un’avidità di conoscenze e di esperienze 
      diverse che, inevitabilmente, dalla tastiera si trasferisce nella vita di 
      tutti i giorni. Tutta la musica, tutta la vita. 
      
      «La musica è un linguaggio universale », 
      dice Michel, «non ha età né nazionalità, è un formidabile luogo d’incontro 
      ». Un luogo in cui il giovane pianista e il vecchio Papa possono stare 
      insieme, e parlarsi con gli occhi, desiderando andarsi incontro anche 
      fisicamente, pur senza riuscirci. 
       
      E la vita, Michel? La vita per lui è la ragione stessa del far musica: 
      «Faccio musica per dare piacere alla gente. Per me è quasi una malattia », 
      ammette con umile candore. «Io sono molto generoso, amo aiutare gli altri, 
      dare loro tanto. Amo amare, credo anche di amare che mi si ami ». 
       
      Il Papa tutto questo non lo sapeva. Ma di sicuro l’ha visto: in quella 
      camminata dolente, in quello sguardo aperto, in quelle mani che corrono 
      implacabili sulla tastiera, in cerca di un altro po’ di vita.  
       
      di Roberto Parmeggiani 
      
      Fonte: Famiglia Cristiana n° 41 del 15/10/1997 
       
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