"La mano della Madonna di introduca nel 
            Mistero, perché questo è il Senso 
            delle nostre giornate, il significato del tempo che scorre; ci guidi 
            nel 
            cammino il Suo sguardo, ci educhi il Suo esempio, la Sua figura 
            costituisca 
            il disegno del nostro proposito. Madre generosa, che generi per noi 
            la 
            grande presenza di Cristo, noi vogliamo essere consolati, 
            confortati, 
            alimentati, arricchiti, allietati da quella presenza che è rinata 
            dalla tua 
            carne e per questo ti chiediamo di farci partecipi della tua 
            libertà, della 
            tua disponibilità, della tua via."
            don Giussani  | 
            
             
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      Questo è l'articolo che non avrei mai 
      voluto scrivere. Capita di dover buttar giù con le lacrime e non con 
      l'inchiostro, alla rinfusa, le parole e i pensieri: quando muore un padre. 
      Non lacrime per te, carissimo don Gius, che oggi sei nella felicità 
      totale, accanto a quell'Amico e Padre e Creatore che ci hai fatto 
      conoscere e ci hai insegnato ad amare, con forza virile e appassionata: a 
      noi, migliaia di naufraghi di una generazione sola e confusa o disperata. 
      Non per te che hai terminato la tua corsa così come l'hai vissuta, quando 
      per noi interpretavi Leopardi e la VII di Beethoven, con il cuore in 
      fiamme, gridando al mondo che il senso della vita e di tutte le cose è 
      Lui, Gesù, Dio fatto uomo. Non per te che oggi sei stato accolto e 
      abbracciato nel Mondo nuovo e definitivo dalla "ragazza di Nazaret", la 
      Regina umile e materna che veglia su ciascuno di noi (come ci incanta la 
      Sua tenerezza che ci hai fatto scoprire). 
       
      Ma lacrime per me, per noi, per il nostro tempo. Alla fine è sempre su di 
      sé che si piange. Guardo i volti dei miei figli e penso che non sarebbero 
      mai esistiti senza di te, senza la storia di amicizia che da te è nata e a 
      un certo punto ha raccolto e salvato anche me e la ragazza che sarebbe 
      diventata mia moglie, come tante altre barchette che nella giovinezza 
      vagavano alla deriva. C'è un intero popolo, specie della mia generazione, 
      che oggi guardando i propri figli pensa questo. E pensa che non potranno 
      più incontrare e ascoltare quell'uomo coraggioso e appassionato, figlio 
      della Brianza cattolica, che ha reso ardente la nostra giovinezza. 
       
      Ha acceso i cuori, ha illuminato le strade cupe di una gioventù incenerita 
      dall'ideologia e divorata dalle sabbie del Nulla, ha fatto fiorire il 
      cuore e l'intelligenza, ha fatto irrompere nelle nostre esistenze la 
      bellezza di Gesù Cristo, proprio come nel quadro di Caravaggio che tanto 
      Giussani amava, "La vocazione di Matteo", dove Gesù, insieme a un raggio 
      di sole, irrompe nella buia vita di Matteo e lo chiama per nome e lui - 
      stupito di sentirsi guardato e amato - si chiede col gesto della mano: 
      "io? Hai chiamato proprio me?" (lui che sapeva di non meritarlo, che 
      conduceva una vita squallida). 
       
      E' quella la prima volta che un uomo dice veramente "io". Non si può 
      dimenticare quel giorno. Io avevo diciotto anni quando incontrai due dei 
      "suoi", Andrea e Dado. Straordinari, affascinante la loro umanità, 
      contagiosa la loro passione per la vita, per tutto ciò che è umano. Il 
      giorno dopo c'era un tronco di quercia abbattuto su cui si poteva star 
      seduti, una strada di campo, tigli in fiore davanti a me e il vento caldo 
      che soffiava carezzando l'erba alta. Passai il pomeriggio a leggere 
      avidamente quelle pagine. Era così entusiasmante scoprire lì la 
      personalità umana di Gesù. 
       
      Non so quante volte ho riletto quelle parole di Giussani che Lo 
      descrivevano nei fatti del Vangelo: "una presenza straordinaria", "il 
      dominatore della natura" (addirittura Gesù comanda alla tempesta e alla 
      morte), "Egli ci conosce e ci comprende", "il Signore della parola" ("di 
      fronte a Lui tutti gli avversari erano impotenti"), "il Pastore buono" 
      ("la gente potente, capace di scandagliare la nostra psiche, la gente che 
      ci parla dalle cattedre, è così difficilmente buona! Lui invece. 'Prese un 
      bimbo e se lo pose sulle ginocchia'. Dio è buono perché ci salva"). 
       
      Nessuno mai me l'aveva fatto conoscere e incontrare così. Mi sembrava di 
      aver sempre desiderato di incontrare uno così ed essergli amico. Un antico 
      padre - Dionigi l'Areopagita - si chiedeva: "chi potrà mai parlare dell' 
      amore all'uomo proprio di Cristo, traboccante di pace?". Il mio tempo ha 
      avuto questa immensa fortuna, di avere uomini toccati dalla grazia nei cui 
      volti, nel cui accento, nella cui umanità ci si accorge della presenza 
      vera e potente di Gesù, per noi qui e ora. Penso, insieme con don Giussani, 
      alla straordinaria persona di Giovanni Paolo II, penso a Madre Teresa. Dei 
      giganti. Vere icone di Cristo, di un'umanità redenta, libera, vera. 
       
      Mi dicevano degli amici che nei giorni scorsi, come tutte le comunità di 
      CL, anche i ciellini di Napoli si sono trovati a pregare insieme per don 
      Giussani. L'hanno fatto nella cappella di San Gennaro e pare che alla fine 
      il sacerdote si sia accorto, con qualche meraviglia, che il sangue del 
      santo si era liquefatto. Non conosco i particolari. In ogni caso la 
      speciale predilezione di Dio per quest'uomo, per questo sacerdote 
      lombardo, era evidente. E non è un caso che la sua morte sia avvenuta nel 
      giorno in cui la Chiesa celebra "La Cattedra di Pietro". 
       
      Negli anni Settanta in cui la Chiesa era terribilmente sballottata dalla 
      tempesta, dalla contestazione, dall'autodemolizione (come diceva Paolo 
      VI), don Giussani ha portato migliaia di giovani, prima ostili o lontani, 
      ad amare appassionatamente la Chiesa, in tutti i suoi aspetti, anche i più 
      umani e poveri, a testimoniare la sua bellezza e specialmente ad amare e 
      seguire il Vicario di Cristo in terra. Del resto, il Papa della mia 
      generazione, Giovanni Paolo II, non è possibile non amarlo e ammirarlo 
      anche personalmente (perfino il mondo è colpito dalla sua grandezza 
      umana). 
       
      Oggi centinaia di quei ragazzi, un tempo lontani, che attraverso don 
      Giussani hanno scoperto una fede impetuosa e l'hanno testimoniata in anni 
      difficili nella scuole, nelle università, si sono sparsi nel mondo, dalle 
      bidonville brasiliane, alle steppe della Siberia, dai grattacieli di New 
      York alle terre insanguinate del centroafrica dove hanno fondato ospedali, 
      missioni, scuole, dove spesso rischiano la vita per far conoscere Cristo 
      "fino agli estremi confini della terra". In queste ore tutti - lo so - 
      ricordano con le lacrime agli occhi le ultime vigorose parole di Giussani 
      che incitavano i cristiani a non vergognarsi mai di Cristo. 
       
      E' commovente per me anche un ricordo personale: quando l'ho sentito per 
      l'ultima volta. Era il 20 novembre del 2002. Era sera, stavo nello studio 
      di Excalibur con Giancarlo Giojelli e Pietro Piccinini. E' suonato il 
      telefono: non me l'aspettavo, mi passarono don Giussani. Io da alcuni 
      giorni ero entrato nell'occhio del ciclone, da tutte le parti - sui 
      giornali - mi arrivavano colpi per aver "osato" parlare della Madonna (e 
      della fede di milioni di persone) in un programma di informazione di prima 
      serata. 
       
      Dall'altro capo del telefono quella sera sentii la sua voce familiare, 
      fioca com'era da anni, affaticata, ma sempre piena di passione, di forza e 
      autenticità: "Sono con te" mi disse "ti sono vicino. Hai tutta la mia 
      stima e la mia simpatia". Poi aggiunse: "Sii certo di quello che dici 
      perché è tutto vero. E' tutto vero". Qui la sua voce fu sopraffatta dalla 
      commozione. Il giorno dopo mi fece arrivare le altre parole che avrebbe 
      voluto dirmi: "il problema non è se Dio esiste o no, ma se Dio si è fatto 
      uomo o no. E la Madonna è la strada.". 
       
      Dicevo delle lacrime. Sono lacrime per una generazione, quella dei nostri 
      figli, nei prossimi anni, che - penso fra me - non potrà più incontrare un 
      testimone così. Ma Cristo resta. "Credo che non potrei più vivere se non 
      lo sentissi più parlare". Quante volte Giussani ci ha ripetuto queste 
      parole di Charles Moeller su Gesù. Anche questa morte è per la vita, per 
      chi ha seguito e amato don Giussani. Se non c'è più un padre, ci saranno 
      migliaia di figli pronti a dire ciò che hanno visto, udito, toccato con 
      mano. A testimoniare che la vita ha un senso, anche quella che ritiene di 
      essere insignificante: è grande e preziosa. Un giorno del 1940, nelle 
      sofferenze della guerra e di una terribile malattia della figlia, Emmanuel 
      Mounier scriveva nel suo Diario: "E' molto bello essere cristiani per la 
      forza e la gioia che l'essere cristiani dà al cuore, la trasfigurazione 
      dell'amore, dell'amicizia, delle ore, della morte". 
       
      Sì, anche per sorella morte sale la lode a Dio. 
      Il Giornale, 
      23.02.2005 di Antonio Socci 
  
      
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