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SONO POVERI CRISTIANI? AMMAZZATELI PURE… 
      02.12.2005 
       
      Ieri concerto contro la pena di morte e paginate sulle condanne negli Usa. 
      Ma tre cristiani condannati alla pena capitale per la loro fede non 
      interessano nessuno…. 
       
      Oso pensare che alla fine papa Benedetto XVI non tacerà perché ascolterà 
      questo grido. Non il mio (che non ho titoli), ma quello di tre poveri 
      cristiani messi a morte a causa della loro fede. Tre contadini cattolici, 
      nel più popoloso stato islamico del mondo, l’Indonesia. Oso crederlo 
      perché con Ratzinger – allora cardinale – ho parlato a lungo, anche un 
      anno fa, il 16 ottobre, dei cristiani perseguitati e ho visto un gran 
      dolore sul suo volto e gli ho sentito pronunciare parole decise sui tanti 
      persecutori delle minoranze cristiane. Il levarsi della sua voce 
      sicuramente farebbe clamore, accenderebbe anche i riflettori dei media su 
      questo vergognoso caso, su questa annunciata macellazione, inducendo forse 
      le autorità a recedere dal proposito sanguinario. 
        
      Oltretutto l’Indonesia non è un paese arretrato, ma in forte sviluppo.  
       
      Tante volte i mass media hanno fatto clamorose campagne a favore di questo 
      o quel condannato a morte negli Stati Uniti. Nulla da dire, anche se il 
      sistema giudiziario americano è serio, è tipico di un paese democratico e 
      normalmente condanna solo i colpevoli (salvo errori giudiziari). E’ giusto 
      combattere la pena di morte sempre, anche negli Usa (ricordo la campagna 
      fotografica di Toscani). Ma per tre poveri contadini cristiani innocenti, 
      condannati a morte ingiustamente da un sistema giudiziario iniquo, in un 
      regime di discriminazione e di violenza islamica, non sembra che i media 
      vogliano sprecar fiato e inchiostro. Allora non resta che sperare nel 
      Pontefice. Anche se s’intuisce che possa essere indotto alla prudenza 
      perché i vescovi indonesiani sono impauriti dalle ritorsioni (soprattutto 
      dagli attentati che i fondamentalisti minacciano per il prossimo Natale). 
      Il regime islamico indonesiano è innanzitutto il responsabile 
      dell’invasione di Timor Est nel 1975. L’occupazione di questa terra 
      cristiana, durata 25 anni, ha provocato 300 mila vittime su 800 mila 
      abitanti, è terminata cinque anni fa, su pressione degli Stati Uniti e 
      dell’Onu, e con essa anche il genocidio. Ma su quella strage di cristiani, 
      su cui secondo la deliberazione Onu si doveva indagare, è stato steso un 
      velo di silenzio. Nessun caporione indonesiano sarà denunciato o chiamato 
      a risponderne. Ora resta il problema delle minoranze cristiane dentro il 
      territorio dell’Indonesia. Per esempio la regione delle Sulawesi centrali 
      ha la presenza di una consistente comunità cattolica, contro la quale fra 
      1999 e 2000 si è scatenata la violenza dei fondamentalisti musulmani a cui 
      i cristiani hanno risposto con una decisa autodifesa (gli scontri hanno 
      fatto circa duemila vittime). Il fanatismo islamico sta dilagando sempre 
      di più come dimostrano gli episodi recenti, avvenuti proprio in questa 
      regione: a Poso un mese fa tre studentesse cristiane sono state 
      sequestrate, sgozzate e decapitate; il 18 novembre un’altra ragazza di 22 
      anni è stata ammazzata a colpi di machete e il giorno dopo hanno sparato a 
      due cristiani che uscivano da una chiesa riducendoli in fin di vita.  
       
      La situazione è particolarmente grave perché l’insediamento di Al Qaeda 
      nel Paese, dopo gli attentati di Bali, sembra evidente e i terroristi 
      possono contare su una certa inadeguatezza delle forze di polizia o forse 
      addirittura su connivenze, come quelle di cui già godono chiaramente 
      (nell’esercito) i gruppi fondamentalisti che hanno scatenato le violenze 
      del 2000. Infatti per quegli eventi nessun musulmano è stato processato. 
      Sono stati invece arrestati e condannati a morte tre cristiani, Fabianus 
      Tibo (60 anni), Domingus da Silva (42 anni) e Don Marinus Riwu (48 anni), 
      che sono poveri contadini analfabeti.  
       
      Il loro arresto da parte della polizia e il processo, secondo gli 
      osservatori, sono stati pesantemente inquinati dalle pressioni dei 
      fondamentalisti musulmani che hanno preteso ad ogni costo dalla giuria (e 
      l’hanno ottenuta) la condanna capitale. Il vescovo di Manado, monsignor 
      Suwatan, ha protestato dichiarando ad AsiaNews che i tre cristiani sono 
      innocenti, essi “non sono i responsabili, ma le vittime degli scontri a 
      Poso” (nei quali fu distrutta la parrocchia di Santa Teresa, un convento 
      di suore e diverse scuole cattoliche). Nonostante la protesta della Chiesa 
      le autorità hanno rifiutato la revisione del processo e il 10 novembre il 
      presidente ha respinto anche la domanda di grazia.  
       
      Inutilmente il vescovo di quella piccola comunità cristiana chiede ora da 
      solo di fermare l’esecuzione dei tre poveri innocenti. Ci sarebbe bisogno 
      di una campagna di stampa e di pressioni internazionali, ci sarebbe 
      bisogno dell’intervento di organizzazioni umanitarie (soprattutto quelle 
      che si battono contro la pena di morte come “Nessuno tocchi Caino”). Ma 
      non se ne vedono, almeno per ora, per difendere questi tre Abele (speriamo 
      nei prossimi giorni). Perciò sarebbe prezioso l’intervento pubblico dello 
      stesso pontefice che certamente starà già facendo il possibile, per canali 
      riservati, come si evince dalla presenza sul posto del Nunzio apostolico. 
      A dire il vero ci si dovrebbe aspettare anche una maggiore attenzione da 
      parte del mondo cattolico occidentale: giornali, movimenti, parrocchie, 
      episcopati. Si potrebbe e si dovrebbe realizzare una campagna di stampa, 
      una mobilitazione nelle sedi internazionali (la Commissione diritti umani 
      dell’Onu, quella dell’Ue), ma sembra non ci siano risorse per salvare i 
      cristiani in pericolo di vita (non solo in Indonesia, ma anche in Cina, in 
      Corea del Nord, in Vietnam). La Chiesa americana si è letteralmente 
      dissanguata per la gestione sbagliatissima, da parte dell’espiscopato, del 
      cosiddetto “caso pedofilia”. Gestione che ha finito per far passare la 
      Chiesa come connivente quando semmai è vittima. Una gestione che ha pure 
      compromesso – con una strategia costosa - la posizione degli innocenti 
      accusati ingiustamente.  
       
      Ma si è mai pensato di pagare un pool di avvocati internazionali per 
      difendere i cristiani in pericolo come i tre contadini indonesiani? Eppure 
      i cristiani dovrebbero sentire il vincolo della comunione cattolica come è 
      stato per secoli, fin dalle origini. Ma non sembra sia così. Dieci giorni 
      fa il presidente americano Bush è andato in Cina e lì pubblicamente ha 
      chiesto ai despoti libertà per i cristiani perseguitati. Si è preso gli 
      sberleffi di gran parte della stampa nostrana. E il nostro mondo cattolico 
      ufficiale è parso indifferente. Proprio mentre da noi si celebrava la 
      giornata contro le violenze sulle donne, sedici suore francescane cinesi a 
      Xian sono state massacrate di botte (una ha perso la vista, un’altra è 
      grave) perché “cercavano di impedire la demolizione di una scuola che 
      appartiene alla diocesi e che il governo della città ha venduto a 
      un’azienda” (AsiaNews). Ieri si è saputo di altri sei preti arrestati e 
      sprofondati nell’orrendo Laogai. Ma da noi ci sono anche riviste 
      cattoliche dove si asserisce che in Cina le cose per i cristiani vanno 
      bene e che perfino in una cupa dittatura come l’Iran – dove i cristiani 
      sono in una situazione disperante – la presenza dei cattolici sarebbe 
      “indisturbata”. Sarà ritenuta “indisturbata” anche la vita dei tre 
      cristiani indonesiani? O forse siamo noi che non vogliamo essere 
      “disturbati”, nel nostro sonno, dalle grida disperate degli oppressi?  
       
      Antonio Socci 
      
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