I SEGNI DELLA FEDE

Marcuzzo: «Queste scoperte rafforzano le radici storiche di una devozione antica» Danzi: «Come disse Giovanni Paolo II, quella venerata qui è più di una reliquia»

La stessa pietra a Nazareth ed a Loreto

Un studio archeologico conferma le analogie tra l'altare della Santa Casa e i materiali che in Terrasanta si trovano nella grotta dell'Annunciazione.

Di Vincenzo Varagona.

Le pietre che si trovano nella grotta dell'Annunciazione a Nazareth hanno la stessa origine delle pietre dell'altare dei Santi Apostoli (uno dei più antichi dell'età paleocristiana) della Santa Casa di Loreto. Sono queste le recentissime conclusioni di uno studio condotto a quattro mani dall'architetto Nanni Monelli e da padre Giuseppe Santarelli, direttore della Congregazione generale della Santa Casa di Loreto, uno dei massimi esperti in materia.

Il primo annuncio è venuto da monsignor Giacinto Marcuzzo, vicario per Nazareth del patriarca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah: «Un evento di grande importanza - sottolinea - che rafforza la convinzioni di chi ha sempre sostenuto l'esistenza di una forte radice storica nella traslazione della Santa Casa di Nazareth». Secondo Marcuzzo questi studi rafforzano ulteriormente i legami fra questi due centri mariani: «Entro l'estate Nazareth - annuncia - ricambierà la visita che una delegazione di Loreto compì in Terrasanta lo scorso anno». Una conferma scientifica dell'ipotesi che afferma la presenza nelle Marche di reliquie provenienti da Nazareth viene da uno dei massimi archeologi francescani, padre Eugenio Alliata. Lo studioso ha sottolineato che gli studi eseguiti a Loreto da Monelli e Santarelli sono suffragati dai risultati degli scavi compiuti dal XII secolo ad oggi: «Il primo a segnalare un altare nella cripta della basilica crociata - spiega - fu Daniele l'Igumeno, un abate russo che visitò Nazareth nel 113-115, che annotava nella propria lingua l'esistenza di un piccolo altare sul quale si celebrava la liturgia».

Ma il "nodo" centrale degli studi loretani riguarda le testimonianze che documentano, dopo la traslazione (1291) la scomparsa di uno dei due altari di Nazareth. Fondamentale, secondo Santarelli, la testimonianza di Ricoldo da Montecroce, che visitò Nazareth tra il 1288 e il 1289, cioè poco prima della data fissata dalla tradizione per il trasporto della «Camera di Maria» prima in Illiria (1291) e poi a Loreto (1294). Ricoldo cita due altari: uno nel luogo dove la Madonna pregava quando le fu inviato l'Arcangelo Gabriele; un altro nel luogo dove stette Gabriele durante l'Annunciazione. Uno a oriente, l'altro a occidente. Dopo la traslazione la prima testimonianza è quella del veneziano Marin Sanudo, in visita nel 1321: fu il primo a segnalare la presenza di un solo altare. «Per secoli - osserva Santarelli - gli studi loretani hanno degnato di scarsa attenzione l'altare della Santa Casa». le ricerche di Monelli, invece, segnalano sorprendenti analogie con le pietre di Nazareth, caratterizzate dalla "finitura nabatea" riconoscibile per le striature trasversali. «L'intero altare sottostante a quello visibile e protetto da due grate - ribadisce Monelli - risulta lavorato con la stessa tecnica con cui sono rifinite le pietre della Camera di Maria».

I risultati di questi studi sull'«Altare degli Apostoli» sono contenuti in un volume da poco pubblicato dalle «Edizioni lauretane della Santa Casa di Loreto». Padre Santarelli spiega anche perché l'altare venne chiamato in questo modo: «Già nei più antichi racconti di fondazione della Santa Casa di Loreto viene detto che a Nazareth gli Apostoli trasformarono la Casa della Madonna in luogo di culto».

«Questi studi - commenta l'arcivescovo prelato di Loreto, Gianni Danzi - avvalorano la definizione, a noi cara, contenuta nella lettera che Giovanni Paolo II inviò all'allora delegato, Pasquale Macchi, in occasione del VII centenario laureano: "La Santa Casa di Loreto, diceva il Papa, non è solo una reliquia, ma anche un'icona concreta, un segno attraverso il quale si opera, nella fede, una specie di contatto spirituale con il mistero"».

Fonte: "Avvenire", 03/03/2006

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