Il Monastero di

Santa Caterina

Santuario mariano del Sinai

Veduta del Monastero di "Santa Caterina" con l’arbusto di roveto,
tuttora miracolosamente verde, accanto alla Cappella detta appunto del "Roveto ardente".

La tradizione ha dato del fenomeno del "Roveto ardente" incombusto un’interpretazione in chiave cristologica e mariana: si legge nel fenomeno una prefigurazione dell'Incarnazione di Gesù per mezzo di Maria, che generando Cristo conservò intatta la sua verginità.

Il Monastero di Santa Caterina nella Penisola biblica del Sinai custodisce, fra altri ricordi, quello del "Roveto ardente" che, da tempo immemorabile, i Cristiani hanno interpretato come immagine e simbolo della Maternità divina di Maria. L’edificio, una vera fortezza costruita ai tempi dell’Imperatore Giustiniano, è stato un alto luogo di vita spirituale e monastica, e custodisce tuttora una Biblioteca molto ricca, con manoscritti antichi e una collezione di icone unica al mondo. Il Monastero è anche all’origine delle raffigurazioni del "Roveto ardente" sparse in tutte le Chiese del mondo ortodosso e cattolico.

Il Monastero di Santa Caterina

I primi Cristiani hanno considerato dall’inizio la Penisola sinaitica come parte integrante della Terra Santa. Ben presto alcuni eremiti si sono ritirati in diversi luoghi del vasto territorio, attratti indubbiamente dai ricordi biblici dell’Esodo, dalla rivelazione del Nome santo a Mosè, preludio al Decalogo dell’Alleanza, al soggiorno del popolo ebraico in fuga dall’Egitto e ai diversi altri eventi menzionati nei Libri sacri. È possibile che i primi eremiti vi si siano rifugiati sin dalla fine del III secolo, per sfuggire alle persecuzioni che imperversavano in Egitto contro i Cristiani. In ogni caso, quando vi giunse Eteria (o Egeria), intrepida pellegrina originaria della Galizia che sulla fine del secolo IV aveva intrapreso un avventuroso viaggio in Terra Santa, i Monaci erano già abbastanza numerosi per accoglierla e guidare la sua devozione, come riferisce essa stessa nel suo Diario di viaggio.

Il primo Monastero, edificato secondo la tradizione dall’Imperatrice Elena, madre di Costantino, ebbe a subire replicate incursioni da parte dei nomadi del deserto, finché alcuni giorni dopo il Natale del 373 ebbe luogo una vera ecatombe di solitari. Per proteggere la vita e l’attività dei Monaci l’Imperatore Giustiniano, negli anni 527-535, vi costruì l’attuale monastero, con l’aspetto di una vera roccaforte, e radunò i monaci fino ad allora dispersi, dando anche all’Abate l’autonomia come Superiore di una vera organizzazione indipendente [= autocefala]. Anche oggi, l’Abate, eletto dai Monaci e consacrato Arcivescovo dal Patriarca di Gerusalemme, ha giurisdizione non solo sui Monaci residenti nel Monastero e le sue dipendenze, ma anche su alcune famiglie di beduini di origine greca, fatte venire da Giustiniano per essere a servizio del Monastero.

Abate attuale del Monastero [che porta il titolo di Arcivescovo del Sinai, di Faran e di Raitho] è Damianos, lo stesso che ha accolto il Papa Giovanni Paolo II nella sua breve visita al Monastero nel 2000, in occasione del Giubileo dell’Incarnazione. Nel Monastero visse e ne fu Abate, tra altri, San Giovanni Climaco (+ 649 d.C.), celebre autore del libro detto "Scala [in greco klimax] del Paradiso", opera che tratta dei vizi e delle virtù dei Monaci, della vita eremitica e di quella cenobitica, e della via per raggiungere la perfezione monastica [= apathia]: è un’opera maestra di spiritualità bizantina.

La Vergine Maria e il "Roveto ardente"

Il Monastero, costruito da Giustiniano sul versante Nord della montagna detta di Mosè [in arabo: Giabal Mousa], fu dall’inizio dedicato alla Madre di Dio. Solo dopo il Mille esso assunse il nome di Santa Caterina, il cui corpo, secondo la leggenda, vi sarebbe stato trasportato dagli Angeli. La dedicazione alla Madonna viene dal ricordo del "Roveto ardente" il cui arbusto, tuttora miracolosamente verde, vive e vegeta ancora oggi sui fianchi di una Cappella detta appunto del "Roveto ardente". Secondo la tradizione esso sarebbe stato spostato nelle vicinanze del Monastero per proteggerlo dall’afflusso dei Pellegrini.

La tradizione cristiana si è fermata con insistenza sulla nota visione di Dio a Mosè sull'Oreb, così descritta nel Libro dell'Esodo: "Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'Angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo al roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel fuoco non si consumava. Mosè pensò: ‘Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?’. Il Signore vide che [Mosè] si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: ‘Mosè, Mosè!’. Rispose: ‘Eccomi!’. Riprese: ‘Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!’. E disse: ‘Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe’. Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio" [Es 3, 1-6].

La tradizione cristiana ha dato del fenomeno del Roveto più di una spiegazione. L'interpretazione più comune e costante si presenta in chiave cristologica e mariana. Ravvisando nel fuoco il simbolo della divinità e nel Roveto il simbolo dell’umanità, si è letto nel fenomeno una prefigurazione dell'Incarnazione di Cristo per mezzo di Maria. Maria stessa, strumento e luogo dell'Incarnazione, non solo non fu annientata per il tremendo impatto [con la divinità], ma conservò anche la sua verginità intatta.

Il Roveto così divenne un simbolo e un nome di Maria Vergine.

Dai numerosi Padri che hanno commentato il tema, diamo qui il seguente di Esichio di Gerusalemme (+ 451) il quale, nella sua seconda "Omelia sulla Madre di Dio", così commenta: "A te, o Vergine, i Profeti dispensarono lodi; ed ognuno ti ha chiamato Portatrice di Dio. Uno ti disse Verga di Jesse; un altro ti paragonò al Roveto che arde e non si consuma, alludendo in tal modo alla carne dell'Unigenito ed alla Vergine Madre di Dio: bruciava ma non si consumava, poiché partorì, ma non aprì il grembo; concepì ma non contaminò il seno; diede alla luce il bimbo, ma lasciò sigillato l'utero; somministrò il latte, e conservò intatte le mammelle; portava il fanciullo, ma non divenne sposa; crebbe il figlio, ma non v'era padre...".

La Liturgia torna spesso sul tema del Roveto, simbolo e nome di Maria SS.ma, come si può notare nei seguenti testi:

"L'ombra della legge si è dileguata alla venuta della grazia:
come difatti il roveto ardeva e non si consumava,
così vergine hai partorito e vergine sei rimasta;
invece della colonna di fuoco, si è alzato il Sole di giustizia;
al posto di Mosè, Cristo, salvezza delle nostre anime.

Il roveto che Mosè contemplò sul Sinai,
raffigurava te, o Vergine santa;
il roveto difatti era simbolo del tuo santo corpo,
i rami che non si consumavano della tua verginità;
ed il fuoco del roveto Dio che in te ha preso dimora.

Grande è la gloria della tua verginità,
o Maria, o Vergine perfetta.
Tu hai trovato grazia, il Signore è con te.
Tu sei la scala che vide Giacobbe,
fissata sulla terra ed elevata sino al cielo,
per la quale gli Angeli salivano e scendevano.
Tu sei il rovo che vide Mosè:
era pieno di fuoco e non bruciava.
Infatti il Figlio di Dio venne e scese nel tuo seno,
e il fuoco della sua divinità non bruciò il tuo corpo.

Tu sei il roveto visto da Mosè in mezzo alle fiamme
e che non si consumava, il quale è il Figlio del Signore.
Egli venne e abitò nelle tue viscere
e il fuoco della sua divinità non consumò la tua carne".

Giovanni Paolo II al Monastero di "Santa Caterina" del Sinai, durante il Giubileo dell’Anno Duemila.

Icone del Roveto

Il tema del "Roveto ardente" non poteva non tentare gli artisti che lo hanno raffigurato in miniature su libri, in affreschi su muri di Chiese e Monasteri, e su icone portatili in legno. Le icone più antiche si ritrovano nel Convento di Santa Caterina nel Sinai e risalgono ai secoli XII-XIV. Dal Sinai il tema si è diffuso nei diversi Paesi di tradizione ortodossa e in Occidente.

In Oriente si possono distinguere due tipi principali: greco il primo, russo e slavo il secondo. Il tema greco riflette più da vicino il racconto dell'Esodo. Vi figura sempre Mosè che su ordine dell'Angelo si toglie i sandali; di fronte a lui è raffigurato il Roveto che brucia; in mezzo, o alla sommità, si vede Maria in busto o a pieno corpo con il Bambino in grembo: questo tipo iconografico della Madonna è quello detto della "Platytéra" [= più vasta dei Cieli]; quando il Bambino è circondato da un cerchio, il tipo è quello della Madonna del Segno.

Il tema iconografico è così descritto da Dionisio da Furnà nel suo manuale di pittura: "Mosè che porta al pascolo le pecore vede il Roveto ardente. Mosè che scioglie i sandali, ci sono pecore intorno e davanti a lui un Roveto che arde; in corrispondenza del centro di esso, su nel cielo, la Madonna col Bambino, ed al suo fianco un Angelo che guarda verso Mosè; dall'altro lato del Roveto, di nuovo Mosè ritto, che ha la mano tesa e con l'altra tiene un bastone".

Veduta del Monastero di "Santa Caterina": sullo sfondo si stagliano le montagne del Sinai.

L'icona, del sec. XII-XIII, si conserva nel Monastero di Santa Caterina, sul Sinai. Il suo formato relativamente grande la destinava a figurare tra le icone dell'iconastasi. Attualmente si venera nella Cappella detta del "Roveto ardente", sita dietro l'Altare della Chiesa principale ed è dedicata all’Annunciazione. I Pellegrini vi entrano togliendosi le scarpe. L'Altare è eretto sulle stesse radici del Roveto.

(Sopra)
Nicolas Frament, 
Trittico del "Roveto ardente"
. 

(Sotto)
Mosè al "Roveto ardente" 

icona greca.

Su fondo oro si stacca la figura di Mosé giovane che, con un piede appoggiato sulla roccia, si sta sciogliendo i sandali davanti al Roveto che arde con bagliori di fuoco intenso. La montagna sullo sfondo, riflettendo il fuoco del Roveto, si confonde con il cielo di un fondo oro. Anche la figura di Mosé, i suoi capelli, i suoi abiti originalmente bianchi sono illuminati dal fuoco intenso del Roveto. L'artista, proveniente molto probabilmente dalla Capitale bizantina, ha concentrato l'attenzione sull'episodio storico della visione, lasciando allo spettatore di indovinare l'aspetto dogmatico del mistero dell'Incarnazione.

George Gharib

Fonte: rivista "Madre di Dio", aprile 2005

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