C'è il vero Gesù nei vangeli aramaici |
Mentre Diario tenta di usare per
rozza propaganda anticlericale gli eventi che stanno all’origine del
cristianesimo, tutti i nuovi studi e le ricerche (archeologiche,
linguistiche, documentarie) concordano nel mostrare la storicità e
l’attendibilità dei fatti riferiti nei Vangeli.
E’ pieno di affascinanti scoperte anche il volume, fresco di stampa, di
Josè Miguel Garcia: "La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli"
(Rizzoli, pp. 246, e 9.50).
Già l’erudito francese Jean Carmignac scoprì che lo strano e a volte
oscuro greco dei Vangeli era in realtà la traduzione di un testo
originario in lingua semitica. In base a ciò Carmignac poté ridatare i
vangeli agli anni a ridosso degli avvenimenti di Gesù, quando erano ancora
viventi tutti i testimoni, e non - come voleva la moderna critica - a
un’epoca molto posteriore.
J. M. Garcia – riportando alla luce il testo aramaico che sta sotto il
greco - ha scoperto addirittura che in due passi della seconda lettera ai
Corinzi, scritta prima dell’autunno del 57 d.C., san Paolo parla di un
Vangelo già scritto e circolante fra le comunità.
In sostanza i cristiani annunciavano a tutta Gerusalemme la resurrezione
di Gesù di Nazareth quando i protagonisti di quel processo e della sua
condanna erano ancora vivi e avrebbero potuto sbugiardarli indicando la
tomba e il cadavere. Non lo potevano fare perché quell’uomo era risorto.
Il biblista e teologo J.M.Garcia fa parte della cosiddetta “Scuola di
Madrid”, nata da D.Mariano Herranz Marco e formata da un’équipe di
specialisti che per anni ha lavorato sui passaggi oscuri, anomali o
contraddittori dei Vangeli, scoprendo che tali discordanze non
appartengono all’autore originario, ma sono il risultato di cattive
traduzioni o di errori di traduzione dall’originale testo aramaico (la
lingua parlata da Gesù).
Il risultato di questi lunghi studi, che hanno riempito una decina di
volumi, è sintetizzato in maniera divulgativa in questo libro. La
“retroversione” dal greco all’aramaico ha dissolto anche qualche pia
tradizione. Come quella per cui Gesù sarebbe nato in una grotta-stalla.
Soprattutto non pare vero il dettaglio degli alberghi e del rifiuto della
gente. Gesù, secondo l’Autore, nacque a Betlemme nella casa paterna di
Giuseppe, che era uno dei discendenti di re David (fu posto in una
“mangiatoia” probabilmente perché al piano inferiore di quelle grandi case
stavano gli animali e c’era più caldo o forse perché sopra non c’era
posto. Se c’era una grotta era dunque di quelle annesse all’abitazione,
come si usava allora).
Ma J.M.Garcia ha riportato alla luce molto altro. Innanzitutto traduce
meglio le parole che l’angelo dell’Annunciazione dice a Maria. Gli rivela
infatti che l’identità di colui che nascerà da lei come suo figlio è
quella di Dio stesso. E così rivelerà anche a Giuseppe (da qui viene il
timore del giovane che “si ritiene indegno di una tale donna”, lui che ne
era così innamorato da aver accettato anche di rispettare il suo voto di
verginità).
L’autore smonta anche tutte le speculazioni fatte su quelli che il Nuovo
Testamento chiama “i fratelli di Gesù”. Si sono stampate montagne di
libri, ipotizzando altri figli di Maria o di Giuseppe o l’esistenza di
“cugini”. Tutto sbagliato. Il testo aramaico dei Vangeli mostra che
“fratelli” sono chiamati tutti gli apostoli e in genere i discepoli di
Gesù. E il passaggio in cui si dice che Gesù è sommerso dalla folla, da
ore, e “i suoi congiunti” andarono a prenderlo perché lo ritenevano “fuori
di sé”, in realtà va letto così: i suoi amici gli portarono del cibo
perché era stremato dalla fatica.
Questa retroversione in lingua aramaica permette di ricostruire la cronaca
dettagliata e vivissima, quasi giornalistica, di tanti miracoli di Gesù la
cui confusa traduzione greca aveva indotto molti critici a giudicarli
contraddittori e quindi inventati. D’altronde che Gesù abbia fatto quei
miracoli è attestato anche dalle insospettabili fonti ebraiche di quel
tempo (raccolte nel Talmud di Babilonia), cioè dalle fonti non
cristiane.
I suoi miracoli sono dunque fatti storici. Riemergono poi le vere parole
di Gesù in episodi cruciali. Per esempio alle nozze di Cana: egli non
rivolge a sua madre parole dure (come parrebbe dalla traduzione italiana)
per la sua richiesta di soccorrere quei poveretti, ma le dice una frase da
cui traspare un’immensa venerazione: “non per me, bensì per te, donna,
è giunta opportuna la mia ora”. Un’espressione in cui già s’intravede
la missione che egli affiderà a sua madre dalla croce.
Del resto J.M.Garcia dimostra che Maria non rimase a Nazareth, ma fin
dall’inizio seguì la missione di suo figlio con molte altre donne e molti
giovani galilei.
L’autore smonta inoltre la tesi moderna secondo cui Gesù si sarebbe
aspettato – sbagliandosi - una fine del mondo imminente. Non è così, il
professor Garcia svela gli errori di traduzione su cui si è basata questa
idea maliziosa.
Un altro passo contestato, soprattutto dai protestanti, è l’investitura di
Pietro a Cesarea. Sotto il greco c’è un testo aramaico davvero clamoroso.
L’attuale traduzione italiana recita: “e impose loro severamente di non
dire questo di lui a nessuno” (Mc 8, 30). Ma l’originale recita: “E
(Gesù) impose loro severamente di vedere sempre in lui (in Pietro, ndr) il
Figlio dell’uomo”.
Un’altra idea sballata è quella del “segreto messianico” secondo la quale
“Gesù non fu mai consapevole di essere il Messia”. E’ una invenzione senza
fondamento. Dai testi originari “ritrovati” emerge in modo ancor più
impressionante “la coscienza divina di Gesù”, cioè l’inaudita pretesa di
questo uomo, vero uomo a tutti gli effetti, di essere Dio ed emerge
addirittura il suo desiderio – prima dell’incarnazione – di “venire
incontro al patimento”, cioè di venire sulla terra a dare la sua vita per
“sconfiggere il regno di Satana e far venire il regno di Dio”.
Impressionante anche il momento in cui Gesù lava i piedi ai suoi amici,
investendoli del potere sacerdotale: egli manifesta loro “la sua
contentezza, poiché, grazie a loro, potrà morire nuovamente, bere di nuovo
il calice che bevette sul calvario”.
Dal testo aramaico emerge insomma un Gesù potentemente determinato e
desideroso di soffrire e subire volontariamente ogni strazio, umiliazione
e crudeltà per poter così salvare gli uomini. Perfino i suoi carnefici.
Illuminante è infine la ricostruzione che l’autore fa degli eventi
accaduti la mattina del 9 aprile dell’anno 30, quando il sepolcro di Gesù
viene ritrovato dalle donne aperto e vuoto e le guardie sono scappate.
Dopo l’arrivo del primo gruppo di donne, si succedono delle corse
concitate da e verso la città e i vangeli riportano il groviglio di eventi
tumultuosi di quelle ore in un modo che – alle traduzioni odierne – appare
confuso.
Ma la ripulitura dagli errori di traduzione riporta alla luce la perfetta
linearità dei resoconti evangelici e l’enormità dell’evento accaduto
quella mattina. Pietro e Giovanni capiranno ciò che è successo prima
ancora che Gesù appaia loro vivo, perché entrati in quel sepolcro trovano
la sindone e il sudario ancora lì, come non era possibile se il corpo
fosse stato portato via.
A proposito della sindone. I testi tradotti dicono che, dalla croce,
“presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende” (Gv 19,40), ma
l’originale aramaico recita: “presero il corpo di Gesù e lo avvolsero
in una doppia tela di lino”. Che è la perfetta descrizione, rinvenuta
oggi, anno 2005, della Sindone di Torino.
Un resoconto fedele. Del resto “lo scopo di questo libro”, ci confida
l’autore, “è proprio questo: mostrare che i Vangeli non espongono delle
credenze, ma riferiscono dei fatti accaduti”.
Fonte: © Il Giornale - 13 maggio 2005
INDIETRO
|