La Madonna di Kazan 

ha fatto un miracolo nella sua patria: la pace tra le religioni.
Il papa riconsegna ai russi ortodossi la veneratissima icona. 

Ma ad accoglierla saranno anche musulmani ed ebrei.

ROMA – Il prossimo 28 agosto, festa della Dormizione della Madonna nel calendario ortodosso, Giovanni Paolo II riconsegnerà al patriarca di Mosca la sacra icona della Madonna di Kazan oggi custodita in Vaticano nel palazzo pontificio.

Per la riconsegna, il papa invierà una sua delegazione. Ma prima – ha fatto sapere – compirà a Roma un atto di devozione alla sacra icona, che “è sempre stato suo vivo desiderio restituire alla venerazione del popolo russo”. La sua speranza è che “questo gesto possa contribuire al dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa”. L‘icona ritrae la Vergine con Gesù bambino ed era in origine conservata nel monastero russo di Kazan, capitale del Tatarstan, regione lungo il corso centrale del Volga. Nel 1209, durante l'invasione dei tartari, l'icona sparì, per ricomparire quasi quattro secoli dopo, nel 1579.

Nel 1904 scomparve di nuovo, rubata, finché nel 1960 fu acquistata da un collezionista degli Stati Uniti che la donò al santuario mariano di Fatima. Nel 1993, grazie a una sottoscrizione di due milioni di dollari da parte dell'organizzazione cattolica internazionale “Armata Azzurra”, allora presieduta dal vescovo americano Edward Michael Egan, l'icona fu data a Giovanni Paolo II.

E ora il papa la riconsegna alla Russia. La riporterebbe là volentieri di persona – già nel 2003 ci provò, come tappa di un suo progettato viaggio in Mongolia, poi annullato – ma dal patriarcato di Mosca il vicepresidente del dipartimento esteri, l’arciprete Vsevolod Chaplin, ha fatto sapere che “le questioni della visita del papa in Russia e della restituzione dell’icona alla Chiesa ortodossa non possono essere confuse”.

Dal patriarcato sono stati espressi dubbi anche sull’autenticità dell’opera, che sarebbe non l’originale ma una copia del Cinquecento. E incerta è anche la sua collocazione finale. La riconsegna avverrà a Mosca. Ma da Kazan il sindaco Kamil Ischakov reclama l’icona per la cattedrale dell’Annunciazione, in occasione dei mille anni della fondazione della città che saranno celebrati nell’agosto 2005. Ischakov è musulmano, come metà della popolazione del Tatarstan. Ma la sua venerazione per la Madre di Gesù non deve sorprendere. Il Tatarstan è oggi un prezioso modello di convivenza pacifica fra le tre fedi che altrove nel mondo sono quasi ovunque in contrasto: l’islamica, la cristiana e l’ebraica. E anche di buon vicinato tra ortodossi e cattolici.

È il modello che trovi descritto in questo reportage di un viaggiatore italiano, cattolico, che è tornato da poco da quella regione. L’articolo è apparso sul quotidiano “il Foglio” di sabato 31 luglio 2004:

Kazan, Tatarstan, estate 2004. 

Come islamici, cristiani ed ebrei hanno fatto pace

di Pigi Colognesi

KAZAN – Visto dal lato del Volga, il cremlino della città offre l’immagine immediata ed efficace dell’attuale Tatarstan e dei motivi per i quali i suoi governanti vanno orgogliosi del proprio modello.

Sullo sfondo del cielo si stagliano a sinistra le cupole azzurre della cattedrale ortodossa. Come la stragrande maggioranza degli edifici di culto era stata sottratta ai credenti in epoca sovietica, e ora è in restauro. Tutti qui sperano che le mura della cattedrale possano ospitare la più importante e nota icona della città, quella Madonna di Kazan, oggi in Vaticano, che Giovanni Paolo II ha donato al patriarcato di Mosca in segno di riappacificazione e volontà di dialogo con gli ortodossi.

Sulla destra incombe la possente mole della nuova moschea, col suo cupolone e i quattro minareti al cui culmine brillano mezzalune d’oro. Prima che arrivasse Ivan il Terribile, dicono gli storici tatari, qui una moschea c’era già, ed è giusto che si torni a costruirne una nuova per i fedeli di Maometto. Così come in cattedrale, anche in moschea fervono i lavori. Entrambe devono essere pronte per il 30 agosto 2005, giorno in cui si celebrerà solennemente il millennio di fondazione della città.

Tra la cattedrale e la moschea, vasti edifici di stile neoclassico. Sono i palazzi del potere statale, uffici e dimora dell’indiscusso protagonista della vita politica del Tatarstan, il presidente della repubblica Mintimer Saripovic Saimiev. A lui si deve la lungimirante politica di equidistanza che mantiene in rispettoso equilibrio le due principali comunità della repubblica: i russi di religione ortodossa e i tatari di fede islamica.

Il Tatarstan è grande circa come l’Irlanda e occupa un territorio situato pressappoco a ottocento chilometri a est di Mosca. La popolazione è di meno di 4 milioni di abitanti, dei quali oltre un milione e centomila vivono nella capitale. La metà circa sono russi ortodossi, l’altra metà tatari musulmani.

All’inizio degli anni Novanta la convivenza tra le due etnie non era facile; soprattutto in campo tataro erano forti il desiderio di indipendenza da Mosca e il revanscismo etnico e religioso. Fu Saimiev a capire che la situazione sarebbe potuta diventare esplosiva e portare la repubblica a una crisi di tipo ceceno. Ottenne da Mosca un’ampia autonomia politica ed economica; andò incontro a gran parte delle richieste dei nazionalisti tatari (uso della lingua, insegnamento della cultura tradizionale, ricostruzione dei luoghi di culto), senza però dimenticare le esigenze dei russi. Sta di fatto che le frange più estremiste furono messe a tacere (persino i “missionari” arabi che erano giunti in Tatarstan per diffondervi il fondamentalismo abbandonarono l’impresa) e attualmente la convivenza tra le due maggiori comunità del paese è del tutto pacifica. Come i palazzi del cremlino, così le leggi e le decisioni politiche tengono in stabile equilibrio cattedrale e moschea. [...]

Nella centrale via Bauman sorge il cosiddetto “battistero”, che ricorda la forzata cristianizzazione imposta dai russi dopo la conquista. Ora ci sono negozi e una piccola sala da concerti. Ai tatari non piace molto questo ingombrante monumento. Sta a ricordare un passato fatto di vessazioni e contrasti. Prima i tatari, convertitisi all’islam nel 922, hanno sottomesso i cristiani e imposto tributi agli ortodossi per secoli. Poi gli ortodossi hanno limitato la libertà religiosa degli islamici e imposto a molti la fede con la forza, fino a quando Caterina II ha loro ridato un minimo di libertà. Infine i sovietici hanno azzerato tutto. E ora che una certa pace è stata conquistata nessuno ha intenzione di riaprire il capitolo delle rivendicazioni storiche. Anzi, nel segno della più completa riappacificazione, si vorrebbero riconoscere i torti di tutti per lasciarseli alle spalle. Così, se in mezzo al fiume Kazanka i russi avevano eretto un memoriale alle vittime cristiane della conquista di Kazan, ora il presidente, tataro, vuol farne costruire uno per le vittime islamiche.

Proprio di questa politica pacificatrice va orgogliosa Ludmila Andreeva, vice presidente della duma di Kazan con particolari deleghe ai problemi nazionali e religiosi, che sciorina tutti i dati che confermano il successo degli sforzi: scuole bilingue, insegnamenti specifici per ogni entità nazionale, spazi televisivi per tutti, rispetto delle differenti festività, restituzione e restauro degli edifici di culto. “Tutti i nostri visitatori, conclude soddisfatta, sono sorpresi per la tolleranza che si respira in città. Questo fa di Kazan un esempio per tutto il mondo”.

Anche Valiulla Chazrat Jakupov, vice presidente dell’organizzazione che raccoglie tutti i musulmani del Tatarstan, è soddisfatto. Descrive il proprio paese come un “luogo eccezionale nel mondo, dove la tolleranza ha superato la prova del tempo e dove da decenni neppure una goccia di sangue è stata versata per conflitti interetnici o interreligiosi”.

IL MUFTI MUSULMANO

Il giovane vice mufti, impeccabilmente vestito alla occidentale, spiega come il miracolo della tolleranza si sia potuto realizzare. “La prima ragione riguarda la qualità stessa dell’islam che noi professiamo, che è di carattere tollerante per il fatto che il nostro popolo ha accettato questa religione in modo del tutto spontaneo, senza nessuna imposizione. Mentre altri popoli sono stati forzati ad accettare la fede di Maometto, per noi l’accoglienza della proposta che ci è arrivata più di mille anni fa dal califfato di Baghdad è stata del tutto libera, consapevole e di alto livello intellettuale. Analogamente va ricordato che nei nostri confronti i russi hanno sì tentato delle conversioni forzate, ma non hanno mai messo in atto una politica di genocidio o di deportazione. Il periodo più pesante è stato – per noi come per gli ortodossi – quello sovietico; delle 14.500 moschee che c’erano in Tatarstan all’inizio del XX secolo ne rimanevano, alla fine del dominio bolscevico, solo 80. Certamente ora il nostro problema è quello educativo: il 90 per cento dei tatari si ritiene musulmano, ma si tratta più di una tradizione etnica che di una fede convinta. I frequentatori delle moschee sono una percentuale notevolmente più bassa. È facile costruire le moschee, non altrettanto educare la fede della gente. Per questo stiamo puntando sulle scuole per la formazione dei mullah e degli insegnanti. I nostri rapporti con gli ortodossi sono attualmente molto cordiali anche grazie ai buoni uffici del governo; abbiamo persino dei progetti sociali comuni o, almeno, concordati. Analogamente siamo in buoni contatti anche con altre minoranze religiose; solo con le nuove sette finanziate dall’estero c’è qualche difficoltà. Noi non accettiamo nessun tipo di fondamentalismo. Qualcuno chiama il nostro ‘euroislam’ perché noi crediamo che gli insegnamenti del Corano si possano sposare con la tolleranza e la democrazia. Qualche esempio? Tutte le nostre cariche sono elettive; questo significa che per noi lo spirito democratico è insito nella religione che professiamo. Anche rispetto alle donne noi siamo molto liberali: nessun obbligo di veli o cose simili; addirittura abbiamo delle scuole per la formazione delle ragazze”.

Nessuno obietta che questa interpretazione dell’islam sia un po’ eretica? Il vice mufti sorride: “Niente affatto. È il Corano ad affermare che la religione deve essere libera. Se un musulmano abbandona la nostra fede per abbracciarne un’altra, noi non ci opponiamo alla sua scelta; ci interroghiamo su che cosa noi stessi non abbiamo fatto o abbiamo sbagliato tanto da indurlo a questa decisione”.

IL METROPOLITA ORTODOSSO

Il pastore della metà ortodossa del paese si chiama Anastasij. Non vive né nella cattedrale del cremlino in ricostruzione, né nella storica sede presso la baroccheggiante chiesa dedicata ai santi Pietro e Paolo, ma nel seminario. Si capisce subito che per lui il bene più prezioso sono i futuri sacerdoti ai quali è affidata la responsabilità di rivitalizzare una situazione religiosa pesantemente compromessa da decenni di ateismo militante. Qui come in tutto il resto della Federazione la stragrande maggioranza dei russi si dichiara ortodossa. Ma, specularmente a quanto accade ai tatari nei confronti dell’islam, la frequenza ai riti è minima e la rispondenza ai dettami morali della fede assolutamente insoddisfacente. Anche Anastasij afferma che la politica governativa ha dato buoni frutti, ma non dipinge un quadro completamente a tinte pastello. A suo parere un certo favore verso i musulmani si può registrare. A conferma della sua tesi espone i numeri delle moschee restaurate o ricostruite: 1.300, a fronte delle chiese ortodosse: 150. “Il problema degli spazi è decisivo per noi, perché senza strutture non possiamo di fatto impostare nessun tipo di lavoro educativo, soprattutto verso i giovani”.

Il vescovo ci accompagna in visita al seminario, la sua creatura più cara. Ci sono ottanta giovani che si stanno preparando al sacerdozio (occorrono cinque anni per diventare preti) e si sta approntando una struttura per le ragazze (molte di esse diventeranno le mogli dei preti). Ci sono biblioteche (con un importante deposito di libri antichi), una grande sala conferenze, persino un’aula computer. Anastasij conferma che i rapporti con i musulmani sono molto buoni, anche perché “entrambi dobbiamo affrontare gli stessi problemi legati alla perdita del senso religioso, al decadimento morale, alle difficoltà sociali ed economiche. Come loro dobbiamo anche noi opporci all’invadenza incredibile delle sette”.

Gli chiediamo se sarebbe stato contento di ospitare Giovanni Paolo II che nel 2003 voleva consegnare di persona l’icona della Madonna di Kazan. Anastasij si schermisce e sostiene che questi sono problemi di politica ecclesiastica che ben volentieri lascia ai suoi superiori di Mosca. A lui basta fare il suo lavoro in pace. Mosca è lontana e il vescovo di Kazan non ha certamente nulla di quella prevenzione anticattolica che spesso si respira nella capitale. Anzi, dichiara di essere molto amico del parroco cattolico della città e di collaborare con lui molto fruttuosamente.

IL PARROCO CATTOLICO

Ortodossi e musulmani non occupano per intero il panorama religioso del Tatarstan. Tra le minoranze spicca la parrocchia cattolica, da nove anni affidata a un sacerdote argentino, padre Diogenes Urquiza, della congregazione del Verbo incarnato. Tradizionalmente la comunità cattolica è composta da stranieri giunti fin qui per le più svariate ragioni: lavoro, deportazione, matrimonio, affari. Non possiedono ancora una chiesa, ma il comune sta deliberando di assegnare loro – in conformità alla politica generale di equidistante collaborazione con tutte le confessioni – un terreno nei pressi del centralissimo campo di basket.

Padre Diogenes ci accompagna in mezzo a ruderi di case diroccate fino a sbucare in uno spiazzo pieno di erbacce in mezzo al quale campeggia una croce. “Qui sorgeranno la chiesa cattolica e la casa parrocchiale”, dice soddisfatto. “C’è ancora qualche opposizione da parte della Chiesa dei Vecchi Credenti (uno scisma interno all’ortodossia), che hanno una loro chiesa qui di fianco, ma dovrebbero essere presto superate. Così potremo migliorare la nostra attuale collocazione, che è francamente piuttosto disagevole”. Altro che disagevole! L’antica e spaziosa chiesa cattolica è stata adibita in epoca sovietica a ospitare una turbina per le simulazioni del vento, che ora non si può più smontare, e l’attuale chiesa provvisoria è una cappella collocata all’interno del cimitero. “A parte che si tratta di una posizione piuttosto scomoda da raggiungere (ci sono dei fedeli che fanno ore di autobus e tram per arrivarci), il problema è che lo spazio è esiguo per le numerose attività che vorremmo fare. E poi, pensi a celebrare un battesimo o un matrimonio dentro il recinto di un cimitero!”.

DA MUSULMANA A SUORA

Ma non sono certo queste le cose che possono fermare l’iniziativa del giovane parroco, da qualche anno affiancato da due confratelli. Nessuna attività di proselitismo (tanto per usare l’aborrita parola che il patriarcato di Mosca sempre sventola per attaccare i cattolici), ma neppure rinuncia all’attività missionaria. Ci sono episodi di conversione, soprattutto dall’islam. Padre Diogenes ricorda il caso di un funzionario pubblico musulmano che era andato a trovarlo in visita di cortesia per la festa di Pasqua. Con la figlia. La quale è stata affascinata dalla liturgia cattolica e ha cominciato a fare domande su Gesù. Dopo un periodo di adeguata formazione, ha voluto il battesimo. Il padre si è comprensibilmente allarmato e ha chiesto al parroco di soprassedere almeno fino a quando la ragazza non avesse finito gli studi. Probabilmente pensava a una infatuazione giovanile, che sarebbe ben presto passata. Quando, però, la giovane ha deciso definitivamente di battezzarsi, il padre non ha opposto resistenza. Sarà pure che il “modello di convivenza” del Tatarstan è un fattore di propaganda del governo; sta di fatto che una tolleranza di questo tipo nella quasi totalità dei paesi a maggioranza islamica è del tutto impensabile. La giovane ex musulmana ora si prepara a diventare suora.

ORTODOSSI E CATTOLICI ASSIEME

Sul fronte dei rapporti cattolico-ortodossi la situazione di Kazan è lontana mille miglia dalle asprezze che si respirano a Mosca. Già abbiamo detto dell’amicizia tra padre Diogenes e il metropolita Anastasij, ma anche a livello parrocchiale succedono cose sorprendenti. Una sera prendiamo la macchina e con padre Diogenes ci avviamo al lager. Con questa triste parola in Russia oggi si indica semplicemente il campeggio estivo dei ragazzi. Arriviamo a una vecchia struttura sovietica, col ritratto di Lenin che campeggia sull’entrata. In baracche malamente riadattate a dormitorio e cucina, una trentina di bambini si prepara alla festa conclusiva del campeggio. La cosa che colpisce è che sono ragazzi della parrocchia cattolica e di quella ortodossa assieme. Quando il programma prevedeva il catechismo, l’hanno fatto assieme se la lezione non presentava difficoltà dogmatiche, e separati se c’era qualcosa di specifico da spiegare.

Poco prima della festa attorno al fuoco arriva anche padre Ioann, il parroco ortodosso, accompagnato dalla biondissima moglie e dall’ultima dei quattro figli (i primi due – come da tradizione – sono in seminario e la terza ha partecipato al campeggio). È un fiume in piena, padre Ioann, e ci tiene a far sapere che lui è orgoglioso della collaborazione con il prete cattolico ed è ben contento di riaffermare così un’unità sostanziale tra le due confessioni. Alla fine vuole sigillare con il più classico dei brindisi russi la sua amicizia con i cattolici, compresi il giornalista che è arrivato dall’Italia e chi lo accompagna per le traduzioni. In una precaria sala da pranzo minacciata da insetti di tutti i tipi, alza la tazza di plastica che funge da calice e brinda all’amicizia con padre Diogenes e i suoi confratelli. Se anche i suoi due figli, futuri preti, saranno come lui, ci saranno più spazi di dialogo e libertà per tutti.

I DIECIMILA EBREI

Altra minoranza importante di Kazan è quella ebraica. La sinagoga, con annesso centro culturale, scuola e sala riunioni, è molto ben tenuta e in stile occidentale. La direttrice del centro ebraico ci dice che i ragazzi che frequentano la scuola media sono circa 500, e altrettanti quelli del centro giovanile. In tutto la comunità ebraica di Kazan assommerebbe a circa diecimila persone. Ovviamente, commenta il barbuto rabbino capo, di nome di Yitzchak Gorelik, la frequenza alla sinagoga per molti è solo celebrazione di momenti centrali dell’esistenza: matrimoni e funerali. Anche lui è soddisfatto della tollerante politica governativa che consente ai credenti di tutte le religioni di “sentirsi a Kazan come a casa propria. Certo, non possiamo pregare assieme ai fedeli di altre religioni, ma ci rispettiamo vicendevolmente. Sono qui da sette anni e non ricordo un solo episodio in cui noi ebrei siamo stati offesi in qualche modo”. [...]

Il nostro viaggio si conclude con l’incontro con Igor Kornilov, responsabile del “soviet po delam religij” la consulta per gli affari religiosi. Il suo ufficio è nella torre d’entrata al cremlino e ci riceve con in mano un sacco di dati statistici sulla situazione delle religioni in Tatarstan e qualche pubblicazione scientifica. Anche all’obiezione che ci sia di fatto una preferenza statale per i musulmani ha una risposta pronta: “Perché ci sono più moschee che cattedrali? Costruire una moschea è più facile ed economico. E poi l’organizzazione musulmana è distribuita più capillarmente di quella cristiana, per cui una moschea è necessaria per un ambito più ristretto di quanto richieda l’organizzazione territoriale ortodossa”.

Forse non è proprio così. Ma ciò che importa è che, se il Tatarstan non è il paradiso in terra, almeno è una strada di convivenza che finora si è dimostrata percorribile e fruttuosa per tutti.


Il quotidiano su cui è apparso, sabato 31 luglio 2004, il reportage di Pigi Colognesi:

> "il Foglio" 

(articolo di Sandro Magister - 4/08/2004)

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