Apparizione di Jaddico

 Località Giancola (Brindisi)

 

il rudere dell'antica chiesa

 

Testimonianze storiche:

(Dalla testimonianza del Professor Alberto Del Sordo riportata nel primo opuscolo stampato nel 1968)

Quella che mi accingo a narrare è la singolarissima vicenda occorsa, circa sei anni orsono, al signor Teodoro D’Amici, un vigile urbano, di anni 50, coniugato e padre di tre figli.  E’ un uomo fisicamente sano e robusto, burbero, ma buono.  E’ addetto al servizio stradale e gli autisti, che sanno per esperienza quanto sia rigido nel fare osservare le norme che disciplinano il traffico, hanno in un certo senso paura di lui. A vederlo ad un crocevia, nelle sue funzioni, ritto, severo nei gesti, sembra un generale, cui sia stato affidato l’esito di un’aspra battaglia. Orbene, il mattino del 12 agosto 1962, appena desto, ripensa allo strano sogno fatto nella notte: si trovava nella contrada "Jaddico", presso un muro sbocconcellato e fatiscente, avanzo di un’antica chiesa. Su di esso, che si estende per circa 6 metri in larghezza e 7 in altezza, è visibilissimo uno sbiadito affresco della Madonna, che stringe al seno il Bambino Gesù, bello nella sua fattura, ma mal ridotto. Tutt’intorno canne, sterpi, erbacce e sassi, prima d’incontrare vigneti rigogliosi su di un terreno leggermente ondulato.  Per giungere alla contrada, lontana dal centro abitato, occorre percorrere non meno di sei chilometri della strada litoranea, che corre quasi parallela alla statale n.  16 e che collega Brindisi con le spiagge di Specchiolla, Villanova, Savelletri e Monopoli. Sogna, dunque, il D’Amici di essere presso quel muro e di udire una voce femminile che lo invita a tornare, a mezzanotte fra il 14 e il 15, con fiori e ceri. "Sogni di nessuna importanza!" -pensa- e si reca al suo quotidiano lavoro.  Ma la notte seguente il sogno si ripete, nei modi e nei termini della notte precedente, e, per tutta la giornata lo assilla il ricordo, fino a quando, superata la naturale perplessità non decide di correre l’avventura. Una volta libero dal servizio, acquista fiori e ceri, che depone nella sua auto e raggiunge velocemente la sua casa.  Invita quindi il signor Elio Martinelli, suo inquilino, ad accompagnarlo e ne ottiene subito l’adesione. La moglie, che frattanto ha notato qualcosa di diverso nel modo di fare del marito e a cui non è sfuggita la presenza dei fiori sul sedile posteriore dell’auto, comincia com’è naturale a fantasticare e ad essere angustiata da dubbi circa la fedeltà coniugale e pur imponendosi il silenzio sta in guardia.  Il D’Amici stringe nel cuore il sogno e tace con tutti, anche con la moglie che inutilmente si cruccia. Intorno alle 23 del 14 agosto, dunque, il nostro uomo ed il Martinelli partono alla volta della contrada "Jaddico".  Qui giunti il D’Amici, fermata l’auto sul ciglio della strada, superando un dirupo profondo circa tre metri, s’addentra solo in una specie di brughiera e si avvicina al rudere.  Depone in un recipiente di fortuna i fiori, accende un paio di lumini e, recitata qualche preghiera, ritorna presso l’amico che lo attende e con lui fa il viaggio di ritorno come aveva fatto quello di andata. Al suo rientro a casa, sottoposto ad interrogatorio dalla moglie, Teodoro D’Amici non risponde e per evitare che la discussione si protragga oltre, adduce a giustificazione del suo ritardo i motivi di servizio.  La consorte è però convinta che il marito le ha mentito e continua ad imporsi silenzio e pazienza. Passano così i giorni e si giunge alla notte del 20 agosto.

La signora D’Amici non riesce a dormire e si volta e rivolta nel letto, quando ad un tratto trattiene il respiro; suo marito parla nel sonno e lei capta distintamente queste parole: "Madonna mia, vuoi che ti porti ancora dei fiori?...  Va bene...  Te li porterò... "Cade in quel momento il sipario del dubbio ed essa può ben intendere a chi erano destinati i fiori, la sera del 14.  Si rasserena quindi e tace in attesa che il marito le riveli il suo segreto.  Ma invano, perché anche questa volta Teodoro D’Amici si chiude nel silenzio. La sera del 20 agosto egli prega il signor Martinelli che lo accompagni nell’ormai nota contrada, ma ne riceve un rifiuto, determinato da ragioni di famiglia e soprattutto dall’ora inoltrata.

Affresco della Madonna

La signora D’Amici che ha assistito, fingendo di non intendere nulla, al colloquio fra i due, si fa innanzi ed offre al marito la sua compagnia.  "Andiamo!" - risponde i nostro uomo - dopo qualche incertezza, e i coniugi partono insieme per il luogo dell’appuntamento. Durante il viaggio, silenzio assoluto tra i due.  Una volta sul posto il D’Amici blocca l’auto che lascia in custodia della moglie e percorre i cinquanta o sessanta metri che lo separano dal sacro muro.  Depone i fiori nello stesso recipiente di fortuna e si accinge ad accendere i lumini, quando il rudere, come per incanto, s’illumina di luce intensa, che rende brillante l’affresco della Vergine.  Tale illuminazione dura alcuni minuti primi, poi con la stessa rapidità con cui si è manifestata, la luce scompare ed il buio pesto torna ad avvolgere ogni cosa. La signora D’Amici, seduta nella macchina, assiste al fenomeno senza rendersi conto lì per lì dell’origine di quella luce e incuriosita e meravigliata esce dalla macchina e tenta di raggiungere il marito che distingue chiaramente sotto sì forte bagliore, ma si ferma come bloccata dalle parole da lui pronunciate: "...  dimmi ciò che vuoi, Madonna mia, e mi farò servo per accontentarti!... " Soltanto allora intuisce che la luce che ha visto non è di origine terrena.

Ritornato il buio, il D’Amici barcollando e quasi nello stato di trance, raggiunge la macchina, siede al suo posto e dà sfogo alla commozione con un pianto dirotto, senza profferire parola.  La moglie conscia di quel che sta accadendo non osa disturbarlo.  Dopo un buon quarto d’ora egli riesce a superare lo stordimento e a rimettere in moto l’auto, che procede lentamente sulla via del ritorno. Fu dunque il 20 agosto la prima illuminazione del rudere, a cui ne seguirono altre. La notte del 26 agosto, intorno alle ore 2, in sogno la solita voce lo invita, per la mezzanotte del 27, al rudere.  Anche questa volta la moglie è sveglia e riesce a raccogliere le seguenti parole: "...  hai gradito i fiori?...  Debbo portarne ancora?... " E poi: ". . Lunedì...  non mancherò all’appuntamento...  a mezzanotte".  E a mezzanotte del 27 si ripete lo stesso fenomeno del 20.  Questa volta, però, non è soltanto la moglie del D’amici ad assistervi, ma anche il figlio Antonio, il signor Elio Martinelli con la moglie, Maria Moretti, e i genitori di quest’ultima. Il 31 dello stesso mese, sempre a mezzanotte, altra illuminazione del rudere, alla presenza di otto persone che vedremo aumentare nei mesi seguenti. Dopo un sogno del 6 settembre, in cui la Madonna invita il D’Amici a costruirle una chiesa in contrada Jaddico (...  "Ho tanto freddo, coprimi!" - così gli dice -), eccoci al grande appuntamento, che è ormai il nucleo centrale di tutta la vicenda.

E’ mezzanotte del 7 settembre, 1° Venerdì del mese. Il D’Amici in ginocchio davanti all’affresco della Madonna prega.  A soli venti metri da lui, attendono undici persone.  Il buio è tale che esse riescono appena a discernere un puntino luminoso rosso, prodotto da un dischetto di vetro di analogo colore, incastonato in una lampada di metallo, grande quanto un pugno, in cui arde un lumino di cera, sospesa sotto la sacra Immagine. Ad un tratto rumori strani e frequenti, come di breccia scaricata da un automezzo, provenienti dalle spalle del muro, distolgono Teodoro D’Amici dalla preghiera.  Un brivido lo invade e l’emozione e la paura s’impossessano di lui.  Raccoglie quel poco di coraggio che gli resta, si leva in piedi e si muove in direzione dei rumori.  Ma non fa che tre o quattro passi verso sinistra, giungendo sul fianco del rudere, quando una luce meravigliosa lo investe tutto. .  Di fronte, a non più di due metri, ritta su di un tufo (pietra calcarea locale), gli appare la Madonna, in tutta la sua regale maestà, splendentissima, con le mani aperte, volte in giù, da cui si sprigionano fasci di raggi che hanno il potere di abbacinarlo.  Egli cade in ginocchio; poi vinto da tanto splendore e sopraffatto da una profonda emozione, sviene. Tutti i presenti osservano lo spettacolo di luce che illumina non soltanto il rudere, ma anche la campagna circostante, e facilmente deducono che la sorgente di quella luce non può che provenire dal retro del sacro muro e notano che i raggi si estendono in ogni direzione, per centinaia di metri.  Emozionati fino all’inverosimile e preoccupati, nel contempo, della sorte del D’Amici, che giace a terra privo di sensi, corrono in suo soccorso.  Ma prima di raggiungerlo torna il buio, sicché debbono agire nel trasportarlo sulla strada in tali condizioni. Il 2 ottobre successivo, alla presenza di venti persone il rudere si illumina per la quinta volta ed oscilla e la lampada sospesa sotto l’affresco della Madonna ne segue il movimento.  Il 5 novembre il muro torna ad illuminarsi per la sesta volta.  E’ questa la illuminazione più importante per la durata (5 minuti primi).  Il fenomeno è visibile a tutti; alcuni notano che i raggi si proiettano verso il cielo, raggiungendo un’altezza incalcolabile.  Il D’Amici, che è rimasto in ginocchio presso l’affresco,, ode distintamente queste parole: "Ciò che tu vedi, gli altri non potranno vedere.  L’acqua c’è... ". Fenomeno come quello di cui innanzi si ripetono, ma per una durata minore, l’8 dicembre, alla presenza di 25 persone, il 31 dello stesso mese, alla presenza di 30 persone e il 20 gennaio 1963, di 50.  A questo punto, venuto a conoscenza di quanto accadeva in contrada "Jaddico", m’inserisco con spirito d’indagine nella compagnia di quanti tutte le sere si recano presso il sacro rudere per la recita del Rosario, in attesa che il fenomeno si ripeta.  Ed è così che la sera del 12 febbraio 1963, alle ore 23 circa, anche a me, come alle altre 50 persone presenti, il rudere appare illuminato. L’attività del D’Amici frattanto è divenuta febbrile. Le fondamenta della chiesa sono state già gettate ed una squadra di muratori lavora alacremente alla elevazione dei muri. Fra quanti hanno avuto la singolare fortuna di assistere una o più volte ai fenomeni di cui innanzi, non mancano quelli che offrono spontaneamente il loro contributo per la erigenda chiesa, ma il D’Amici energicamente rifiuta, dichiarando che spetta a lui solo l’onere e l’onore di costruirla.  E così sacrificando qualcosa di suo e contraendo debiti, i lavori proseguono senza soste.

Posa della prima pietra

Alla data del 27 maggio 1963, manca alla chiesa la sola copertura.  Si torna da più parti ad insistere perché sia accettato il concorso di tutti, ma il D’Amici continua a rifiutare e non ammette repliche.  "Potrete intervenire e offrire tutto ciò che vorrete - così dichiara - dopo che la chiesa sarà stata ultimata almeno nel rustico". Mi sono riferito alla data del 27 maggio, perché essa segna l’ultimo appuntamento visibile con la Madonna, l’ultima illuminazione, ma forse la più bella.  Proprio la sera del 27 maggio, infatti, all’ora convenuta, mi recai sul posto in compagnia di una mia figliola, maggiorenne, accodandomi alle 70 e più persone che mi avevano preceduto di qualche attimo.

Ultimato il Rosario, nell’interno della chiesa, ci spostammo tutti, come di consueto, sulla strada, per le ultime preghiere, prima di prendere la via del ritorno.  Avevamo recitato le 15 Ave, il Padre nostro, il Gloria, il Credo e la Salve Regina e stavamo per concludere con l’invocazione: "O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi!", quando in un fiat, il rudere s’illuminò di luce intensissima, argentea, sicché lo sbiadito affresco della Vergine apparve come rinnovato e vivo nei colori della veste e del manto; molti riflettori messi insieme non avrebbero potuto offrire un trionfo di luce come quello.  Dopo pochi secondi tornarono fittissime le tenebre, mentre tutti in ginocchio piangevano e pregavano. Dopo tale illuminazione che trascende, come tutte le precedenti, le umane possibilità, nessun altro fenomeno si è verificato, ma altri segni ci sono stati, dei quali parleremo a suo tempo.  Da quell’ultima illuminazione ad oggi sono passati soltanto cinque anni, ma quanta strada è stata percorsa!

E’ sorta una bella e moderna chiesa, che custodisce, come in un forziere, il rudere recante l’affresco della Madonna, che richiama, in tutte le ore del giorno e della notte, innumerevoli pellegrini.  Il dirupo antistante alla chiesa, una volta vivaio di serpi, di canne e di piante silvestri, è stato trasformato, mediante migliaia di tonnellate di materiale di riporto, in un ampio comodo piazzale, capace di ospitare centinaia di auto e di torpedoni, mentre altre opere in programma vanno profilandosi. Si potrà dire che tutto ciò è un miracolo della fede.  E’ vero. Ma chi alimenta tanta fede? Chi spinge non pochi pellegrini a compiere, a piedi, il non breve tragitto di 8 chilometri, per inginocchiarsi innanzi alla Madonna di Jaddico? Perché mai tutte le sere, d’estate e d’inverno, da quando hanno cominciato a verificarsi i fatti sopra esposti, un gruppo di fedeli (quaranta, cinquanta e a volte più) si portano in quella chiesa, per recitare insieme il rosario, quando sarebbe tanto più comodo, specialmente nelle serate piovose e gelide, restarsene a casa o raggiungere una qualsiasi chiesa della città, se non fosse per aderire all’invito della Madonna, che in uno dei tanti incontri col D’Amici, aveva manifestato il desiderio della preghiera comunitaria? Chi ha fatto in modo che un tempio, che occupa una superficie di oltre 400 metri quadrati, completo di tutto, sorgesse in meno di due anni?

Fase di costruzione del Santuario

Perché mai dal 1963 ad oggi si sono avvicendati in quel sacro luogo centinai e centinaia di pellegrinaggi organizzati, provenienti dalla città, dai comuni della provincia e da quelli delle province limitrofe? Come spiegarsi l’affluenza alla chiesa di Jaddico di migliaia di fedeli di ogni condizione ed età, specialmente nelle festività mariane, allorché accostarsi all’altare per la Comunione diventa problema arduo? Quale fascino esercita, dunque, la chiesa di S.  Maria di Jaddico, se di giorno e di notte, sotto qualsiasi cielo, essa è meta di pellegrini isolati o in gruppo? Che potere ha la sacra Immagine di Santa Maria di Jaddico e il luogo in cui trovasi? Non è sempre la stessa Madre del Signore, venerata in tutte le chiese del mondo?A tutte le domande avremmo la risposta da dare; ma l’unica valida è quella che pronunzierà l’autorità indefettibile della Chiesa, di cui ci professiamo figli obbedienti. 

 a. d. s. 

Riportiamo un articolo apparso su "Oggi illustrato" del 28 ottobre 1965 di Giorgio Gatta dal Titolo:

FORSE STA SORGENDO A BRINDISI UNA PICCOLA LOURDES ITALIANA

Il 30 Agosto 1962, tre giorni dopo la seconda illuminazione, Teodoro D’Amici sognò di essere presso l’affresco della Madonna di Jaddico mentre imperversava un violento temporale. Era immerso nella preghiera, quando vide passare un alto prelato su un cavallo bianco che si rivolse alla Vergine: “Maria Assunta, la prima volta che sono passato di qui, mi hai salvato la vita, ed io, per ringraziamento, ho ricostruito la tua chiesa. Ma ora non posso più…..”.
Il 6 Settembre 1962, un altro sogno: nell’ultimo tratto di sentiero che porta al rudere, appare al vigile urbano la Madonna: “Ho tanto freddo”, gli dice “ho bisogno di essere protetta…..”. Infine il 17 Settembre, Teodoro D’Amici sogna di essere impegnato nei lavori di scavo per la costruzione di una chiesa in contrada Jaddico. Si sporca di malta e si avvicina ad una tinozza per lavarsi, ma una voce lo invita a servirsi di una piccola sorgente che scorre nei pressi. “ Nessuno aveva mai saputo che in contrada Jaddico vi fosse una sorgente”, racconta il ragioniere Ugo Consales, un industriale di Brindisi che ha assistito a diverse illuminazioni. “Teodoro la cercò a lungo; nei posti più disparati e la trovò, finalmente, dove mai avremmo pensato: sotto il livello di un piccolo torrente melmoso che attraversa, appunto, la contrada.
Una sorgente d’acqua limpida sotto l’acqua limacciosa, insomma. In seguito l’abbiamo portata in superficie e molti sono quelli che la bevono: è di una purezza straordinaria!”. “Furono quei sogni”, racconta Teodoro “che mi fecero capire quale doveva essere il mio compito: ricostruire la chiesa della Madonna di Jaddico. Cominciai con i miei pochi risparmi, venendo io stesso a lavorare, a portare la calce, a mettere in fila i mattoni; poi feci dei debiti, mi rivolsi agli amici: era tutto buono, serviva qualsiasi cosa pur di realizzare l’opera…..”.
Adesso la chiesa è costruita, con l’aiuto dei fedeli che hanno fatto di Jaddico un nuovo centro di religiosità. Sono arrivate somme di denaro da ogni parte d’Italia e materiale da costruzione, panche ed arredi sacri. Molti hanno inviato somme di denaro in ringraziamento per prodigiose guarigioni, per grazie ricevute.

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