Apparizione di Crema

3 aprile 1490

L’epoca

Era l’anno 1490. Politicamente Crema e Circondario dipendevano dalla Repubblica Veneta; ecclesiasticamente la Città dipendeva dal Vescovo di Piacenza, mentre la parte di Circondario comprendente l’attuale S. Maria della Croce dipendeva dal Vescovo di Cremona.

Bartolomeo e Caterina

Il bergamasco Bartolomeo Pederbelli, soprannominato Contaglio, aveva precipitosamente abbandonato la sua dimora in Valle Imagna, esattamente a Cà de’ Contagli presso Cornabusa, perché colpito dal bando per omicidio. Non si sa né quando né come né perché uccise. Si rifugiò a Crema, dove si dedicò al commercio delle stoffe. Qui conobbe e sposò Caterina degli Uberti il 13 febbraio 1489. Caterina apparteneva alla rinomata Famiglia degli Uberti, probabile diramazione del ceppo fiorentino. Era di animo gentile e nutriva una tenera devozione alla Madonna. Sappiamo che era rimasta orfana anche del padre nel 1486; sappiamo che viveva nella casa paterna con la vedova del fratello Giandomenico e i tre nipotini; sappiamo che era sotto la tutela del fratello Cristoforo, il quale combinò, secondo le abitudini del tempo, il suo matrimonio con Bartolomeo Contaglio sulla base di lire imperiali 700 in dote da pagarsi in due anni. Ma, dopo un anno di matrimonio, nella giovane famiglia scoppiò la tragedia. Bartolomeo, o perché infastidito nella sua condotta sregolata dai richiami e dagli esempi della sposa o perché irritato dal fatto che il cognato Cristoforo si rifiutava di anticipargli la liquidazione della dote o per altre ragioni che ignoriamo, prese a odiare Caterina. E l’odio sfociò nel delitto.

Il delitto

Bartolomeo, per affari o per capricci, si assentava spesso da Crema. Il 3 aprile 1490 vi ritornò deciso a portare Caterina dai suoi familiari nel bergamasco. Disse che sua madre era ammalata, che i suoi parenti volevano conoscere la sposa, che il bando era stato tolto e molte altre cose. Caterina si lasciò convincere. Prese quanto di meglio avesse in roba e gioielli e, al tramonto, uscì dalle porte della Città per andare a pernottare, secondo l’accordo con il marito, presso il fratello Cristoforo al fine di partire di buon’ora, l’indomani. Mentre era in cammino, Bartolomeo la raggiunse, la obbligò a salire sul suo cavallo e si diresse verso Bergamo. Quando fu lontano da Crema circa un miglio e fu sicuro che le porte della Città fossero chiuse, deviò per un sentiero che portava al fiume Serio. Arrestò il cavallo nel bosco detto "il Novelletto" e obbligò Caterina a smontare. Si era fatto buio e pioveva. Bartolomeo si avventò contro la moglie terrorizzata, le strappò gli anelli e cominciò a vibrarle violenti colpi di spada. Caterina si difese il capo con la mano destra, che le venne tagliata e buttata lontano; poi fu alla mercé della furia del marito, che la colpì brutalmente quattordici volte al capo e al corpo, ruppe la spada e brandì il pugnale. L’assassino, infine, raccolse il fardello con i gioielli, balzò a cavallo e si dileguò nella notte. Di lui non si seppe più nulla.

L’Apparizione

La sventurata Caterina agonizzava in una pozza di sangue. Invocò la Madonna, implorando la grazia di ricevere i santi Sacramenti prima di morire. Immediatamente vide accanto a sé una donna poveramente vestita, che la prese per un braccio e le disse: «Alzati, figlia, e non dubitare». L’emorragia delle ferite si arrestò all’improvviso. «Ma voi chi siete?», domandò Caterina. E la Vergine: «Io sono Colei che tu hai invocato. Seguimi! ». L’accompagnò al vicino casolare abitato dai Samanni e dai Mongia, e poi scomparve. Le porte della Città erano chiuse e Caterina trascorse la notte circondata dalle cure di quella gente povera e fortunata. L’indomani, Domenica delle Palme, dai parenti costernati venne trasportata in Città, nella casa di Filippo Tensini, suocero di una sua sorella. Il fratello Cristoforo era assente. Fu assistita dal medico Cristoforo di Marco Barbiero, fu interrogata dal "Giudice del Maleficio" (cioè il Magistrato) Martino de’ Mastellari, ricevette con fede e commozione i santi Sacramenti ad opera del "prete Filippo di S. Benedetto". Subito dopo, l’emorragia riprese inarrestabile e Caterina spirò serenamente, perdonando al marito. Venne sepolta nello stesso giorno nella Chiesa di S. Benedetto in Crema.

Il cerchio luminoso

Il Podestà veneto di allora, Nicolò Friuli, mal tollerava l’entusiasmo della folla al "Novelletto". Il 18 giugno 1490, nel pomeriggio, si lasciò convincere a farvi un sopralluogo: una visione straordinaria colpì lui e tutti i presenti. In un cielo tersissimo, attorno al sole apparve come un cerchio iridato, che per tre volte scese verso il luogo dell’Apparizione e risalì scomparendo definitivamente. Il Priuli pianse di stupore e di pentimento e, poi, si fece promotore del Comitato per la costruzione di un grande Tempio. Si dice che il Tempio sorse con forma circolare in ricordo di quella visione. Lo stesso Priuli, in una solennissima cerimonia del 6 agosto 1490, pose una delle prime pietre che davano l’avvio alla costruzione dello splendido Santuario, che venne appunto dedicato alla Madonna della neve, festa che si celebrava il 5 agosto.

Il Santuario della carità

Il Papa Alessandro VI, con Bolla Pontificia del 6 marzo 1494, aggregò il Consiglio Amministrativo del Santuario al Consiglio Amministrativo dell’Ospedale Maggiore di Crema, perché la sovrabbondanza delle offerte venisse impiegata a beneficio dei poveri sofferenti. La Bolla già parlava di "grandi e numerosi miracoli".

Il Santuario fortezza

Crema era sotto il dominio della Repubblica Veneta, anzi era l’avamposto veneto incuneato nei territori occupati dagli Sforza di Milano. Nel 1514 venne assediata appunto dalle truppe sforzesche. Renzo Orsini, Capitano generale della fanteria veneta, spianò i boschi circostanti la Città e trasformò il Santuario in fortezza, murandone gli ingressi e disponendo i soldati nelle gallerie esterne del Tempio. I Milanesi furono costretti a desistere. Ma dopo la guerra scoppiò la peste e l’erario di Crema era esausto. L’Autorità civile sequestrò gli oggetti preziosi del Santuario e ne battè una moneta molto preziosa, ma rozzamente sbalzata con il martello, tanto che si chiamò "petacchia", termine usato ancora presso la gente locale per indicare un oggetto di poco conto.

Il viale

Nel 1593 il Podestà Nicolò Vendramin aprì una nuova strada, che collega la Città con il braccio sud del Santuario. La strada era chiamata Vendramina, perchè quel Podestà la ideò, la sovvenzionò con centocinquanta ducati e centoventisette lire venete, la realizzò in sei mesi. Nel 1810 questa strada venne ampliata e alberata così da risultare un magnifico e suggestivo viale. E tale rimase fino alla creazione della linea ferroviaria (1856), ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, al disinteresse pubblico e agli abusi edilizi del dopoguerra.

Il Convento

Dopo tante e penose traversie, i Carmelitani Scalzi presero ufficialmente in mano la cura del Santuario (1694). Nel 1706 iniziarono, proprio a ridosso del Tempio, la costruzione del colossale Convento e vi aggiunsero il campanile nel 1710. Durante la loro permanenza diedero splendore e grande attività al Santuario. Dovettero abbandonare tutto, in seguito al decreto di soppressione degli Ordini Religiosi nel 1810, e il Convento venne venduto e rivenduto più volte e poi variamente adibito e adattato fino ad oggi.

La Parrocchia

Al tempo dell’Apparizione il territorio di S. Maria della Croce faceva parte della Parrocchia di S. Pietro di Crema. Nel 1585 si affidò "provvisoriamente" la cura delle anime del luogo alla Parrocchia di Pianengo. Ma la "provvisorietà" durò fino al 1828, quando, per l’energico intervento del Vescovo Mons. T. Ronna, l’ "insigne Cancelliere di Vienna" approvò il progetto della nuova Parrocchia e il 2 maggio 1830 don Agostino Cremonesi "prendeva possesso" di S. Maria della Croce in qualità di primo prevosto.

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