LA CHIESA DI SAN LEONARDO DEI SIBILLINI:

il sogno avverato di p. Pietro Lavini

 

 

 

 

L’opera di p. Pietro

("Muratore di Dio")

Chiamato da una “Forza misteriosa”, che ripeteva anche a lui – come fu per San Francesco e la chiesa di S. Damiano -  “Va e ripara la mia casa cadente”,  p. Pietro iniziò, il 24 maggio 1971, la ricostruzione del convento e della chiesa dedicati a S. Leonardo, proprio sopra la gola dell’Infernaccio (anticamente chiamata Golubro), nel massiccio dei monti Sibillini.

P. Pietro ha raccontato nel libro intitolato “Lassù sui monti…” (che sono anche le parole con cui inizia una poesia del Dottor Ermanno Traini, dell’ospedale di Fermo, dedicata all’impresa di  p. Pietro) la storia del convento di San Leonardo e della sua opera di ricostruzione, “…un’impresa umanamente impossibile, avendo a sua disposizione soltanto due mezzi: un saio, simbolo della povertà ed una croce, simbolo della fede”. Quella di p. Pietro è un’impresa degna di rilievo e di rispetto, ed assume una grande valore, sia per i credenti che per i non credenti.

 

Dopo alcune visite a p. Pietro, diluite nel tempo, ho sentito la necessità di mettere per iscritto le forti impressioni e sollecitazioni scaturite dalla sua impresa solitaria (ma alla quale si sono affiancate anche tante persone di buona volontà). La prima considerazione, la più semplice, è che è proprio la collocazione della chiesa in un luogo che si raggiunge con impegno e sudore, posto com’è tra le montagne, a fare dell’opera di p. Pietro un fatto speciale. Se il convento e la chiesa si fossero trovati, per esempio, a Montefortino o a Pedaso, la risonanza sarebbe stata ben diversa. Chi percorre la gola dell’Infernaccio, si rende chiaramente conto di cosa significa arrivare a piedi a San Leonardo (anche se la galleria e il trattorino sono stati un piccolo-grande sollievo alla fatica) e cosa possa essere stato portare a spalla i materiali necessari (ma persino un elicottero, mi risulta,  trasportò lassù delle travi).

 

Un frate cappuccino, che i suoi superiori avevano valutato “buono” per le montagne d’Ascoli, ha avuto il coraggio, la tenacia, la fede necessari per questa impresa. Ma anche diverso sarebbe stato l’impatto nell’animo della gente – giacché quello di p. Pietro, oltre ad essere un omaggio al Creatore, è anche un messaggio diretto a noi tutti – se avesse ricostruito un’abitazione privata, con tanto di recinto, o un rifugio: sarebbe stato solamente un oggetto di curiosità, o poco più. E’ proprio l’essere San Leonardo un luogo dedicato allo Spirito, al Creatore, che lo rende speciale. Non un luogo che serve al semplice riparo o al commercio, bensì un luogo di raccoglimento, di preghiera, di incontro con Dio e con un sacerdote, che vive lì il suo ministero, che lì accoglie chi ha necessità di ritrovare il senso di un cammino difficile, alla luce della fede.

Un impegno che dura da più di un trentennio e durante il quale la vita e la storia di p. Pietro si sono fuse, indissolubilmente, con la sua opera, offrendocene uno stupendo esempio: “interno” ed “esterno” confluiscono, si nutrono vicendevolmente.

 

Un’opera durissima, sofferta, che ci insegna anche il valore dell’impegno, del sacrificio, delle energie investite in un’impresa fuori dal comune, un’impresa che è testimonianza resa all’umanità – giacché travalica i confini locali ed è capace di parlare all’universo degli uomini - , e che trova il più lampante riscontro negli occhi luminosi, nel sorriso e nella vitalità di quest’uomo, che ha messo in gioco la sua esistenza per un progetto d’amore, di dedizione, di sacralità, traendo da ciò la sua percepibile ricompensa.

 

Una dimensione che attiene allo Spirito è quella della gratuità. Qui è precluso ogni calcolo, ogni valutazione costi-benefici e la “ricompensa” non è nel denaro, ma nella gioia e pienezza di senso di chi scopre e vive la sua dimensione creaturale, inserita non in un mondo freddo e inospitale, bensì pregno di generosità  e di grazia “paterne”, “materne”. Non è Dio ad avere necessità di templi, siamo noi che abbiamo bisogno del suo sguardo provvido e benedicente, siamo noi a sentire la necessità di aprirci all’invocazione, di scoprirci parte di un Mistero amorevole. Scoperta che passa sovente per il buio, per la notte dello spirito, per il dolore, come un travaglio che preclude la nascita di un nuovo essere. A noi è dato solo “inginocchiarci”, riconoscere la nostra finitezza e fragilità e imparare ad affidarci al Mistero: solo così, in mezzo al buio, potremo forse scoprire la lucentezza di una “pagliuzza d’oro”, che diventerà la nostra ricchezza più grande. Forse ci sarà un caldo sorriso ad attenderci.

 

Quella dell’abbandono è una strada sovente difficile, tormentata, ma forse bisognerebbe avere la “bontà” di credere che non si tratti,  sempre e necessariamente, di orgoglio: spesso è la conseguenza di una ferita infertaci e “incistata” nell’anima, a mutilare in noi la fiducia, a renderci muti come tombe, ad impedirci di aprire il cuore ed espanderci gioiosamente. Ritrovare la strada della fiducia è impresa titanica, dolorosa, dagli esiti incerti.

 

P. Pietro ci dice di essere stato chiamato a ricostruire l’antica chiesa, ma anche alla ricostruzione spirituale degli uomini che si rivolgono a lui nel bisogno. E lui ci parla, soprattutto, con la sua opera, dimostrandoci la possibilità di ricostruire un “ponte” tra uomo e Dio, pur attraversando condizioni proibitive, e lanciando un messaggio di Speranza, di Fiducia.

 

San Leonardo è diventato il suo altare, il suo luogo di preghiera: segno prezioso per noi tutti.

 

     

 

Quella di p. Pietro è una strada ed una testimonianza, di fronte alle quali chinare il capo in segno di rispetto, onore e riconoscenza. La comunità tutta non può che essere grata a quest’uomo per la sua fede, il suo esempio e il suo sacrificio (come pure le istituzioni civili dovrebbero agevolare quest’opera, piuttosto che frapporre le pastoie di una miope burocrazia: riuscirà p. Pietro a completare il suo campanile, oppure a far funzionare il piccolo generatore posto, discretamente, lungo la corrente del fiume Tenna? Un’opera che parla e porta nutrimento alla nostra anima, non è degna di pari tutela rispetto all’ambiente?).

 

Per quanto mi riguarda, mi inchino e ringrazio p. Pietro, “muratore di Dio”.

 

Luciano Galassi

 

                   

L'interno della Chiesa di San Leonardo dei Sibillini

 

 

 

Poesie dedicate a Padre Pietro Lavini

LE PIETRE CHE PREGANO

(Sfiorando il cielo)

 

Sensi antichi

dimenticati:

pietra su pietra

cuore su cuore

per quel di più

che va oltre

le umane necessità

e diventa preghiera e canto.

Uomini senza memoria

né riconoscenza

incapaci di edificare un segno

che stilli gratitudine.

 

E su una piccola montagna,

quieto e senza tempo,

arde, gentile,

un faro.

 

Luciano Galassi

(S. Leonardo,  3 dicembre 2000)

 

AD UN GIOVANE, ANTICO RAGAZZO

 

E’ salito lassù

lontano dai rumori

per servire un sogno

che gli aveva toccato il cuore.

Qualcuno gli ha chiesto:

“Ma tu, cosa hai fatto?”.

Chiedetelo a quelli

che hanno visto in lui

un piccolo Francesco,

un lumicino sui monti ...

 

Il nostro augurio è che il suo faro

seguiti a guidare il cammino

di chi sa comprendere.

 

 

Luciano Galassi

(L’Ambro, 27 gennaio 2001)

 

La gola dell'Infernaccio; foto di Luciano Galassi

Pagina tratta dal sito del 

Museo Pinacoteca dell’Arte dei Bambini

Smerillo (AP)

 

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