Testimoni del Crocifisso
di Andrea Riccardi

  

Il martirio cristiano del secolo XX è una realtà di cui si è presa coscienza molto tardi, per motivi diversi: per la lunga durata del comunismo in Unione Sovietica e nei Paesi dell’Est, per il fatto che i Paesi del Sud del mondo (africani, ma anche asiatici) sono stati poco sotto i riflettori. C’è stata la difficoltà, insomma, di mettere insieme i tanti frammenti di questa esperienza di dolore e, quindi, di coglierne le sue reali dimensioni. Solo negli ultimi anni del secolo, quasi in sede di bilancio, si è cominciato a prendere coscienza del martirio nel Novecento. Giovanni Paolo II ha avuto un ruolo significativo nel processo che ha portato a questa consapevolezza. Karol Wojtyla, infatti, ha conosciuto personalmente la tragedia della guerra e della persecuzione. La Polonia, che la storiografia ottocentesca considerava "popolo martire", nel Novecento ha subìto l’occupazione nazista che intendeva ridurne in schiavitù il popolo ed eliminarne una parte, ha vissuto la Shoah che ha divorato tanti ebrei polacchi ed europei, infine ha conosciuto il controllo sovietico e il regime comunista con la persecuzione antireligiosa.


Un momento della celebrazione ecumenica tenutasi il 7 maggio 2000
al Colosseo per ricordare i martiri del XX secolo di tutte le confessioni
 cristiane: cattolici, ortodossi, protestanti, anglicani e delle altre
varie Chiese evangeliche (foto Periodici San Paolo/G. Giuliani).

Giovanni Paolo II ha ricordato così la sua giovinezza: «Il mio sacerdozio, già al suo nascere, si è iscritto nel grande sacrificio di tanti uomini e di tante donne della mia generazione. A me la Provvidenza ha risparmiato le esperienze più pesanti...». Al Papa è sembrato di aver vissuto una parte di «questa sorta», come dice, «di "apocalisse" del nostro secolo». Il martirio non è per lui una storia antica, bensì una realtà contemporanea. Lo stesso Papa ha subìto un violento attentato, che poteva con molte probabilità condurlo alla morte.

Giovanni Paolo II, dalla sua esperienza del Novecento, ha tratto la convinzione che il martirio è una realtà contemporanea del cristianesimo. Da qui l’iniziativa del recupero della memoria dei martiri contemporanei. Nel documento programmatico dell’Anno Santo, la Tertio millennio adveniente, che porta chiaramente l’impronta della sensibilità del Papa, si legge: «Nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi "militi ignoti" della grande causa di Dio. Per quanto è possibile non devono andare perdute nella Chiesa le loro testimonianze...». Per questo il Papa ha lanciato un invito: «Occorre che le Chiese locali facciano di tutto per non lasciare perire la memoria di quanti hanno subìto il martirio, raccogliendo la necessaria documentazione».


L’esplosione della bomba atomica su Hiroshima, il 6 agosto 1945. I nuovi martiri hanno vissuto in un secolo di spaventose distruzioni di massa.

La stessa espressione "nuovi martiri" è un’espressione wojtyliana, seppure la Chiesa greco-ortodossa parla da tempo di nuovi martiri, per indicare i martiri della lotta del popolo greco e ortodosso contro i turchi. Si tratta quindi di un’altra accezione del termine. Anche la Chiesa ortodossa russa ha cominciato a definire nuovi martiri i perseguitati dal potere sovietico. Mi sembra che il termine "nuovi martiri" sia un richiamo al fatto che la Chiesa nel Novecento sia tornata a essere una Chiesa di martiri. Indubbiamente, nella visione di Giovanni Paolo II, il concetto di martirio si amplia rispetto a quello classico di martire in odio alla fede o quantomeno lo reinterpreta: martire – scriveva il teologo Karl Rahner nel 1983 – è «anche colui che soccombe nella lotta attiva perché si affermino le esigenze delle sue convinzioni cristiane...».

Questo martirio si inquadra in quello che è stato il secolo delle stragi, della morte di massa, dell’industria della morte, del terrore. In fondo, il Novecento, pur con le sue nuove opportunità, i progressi e gli aspetti positivi, è stato un secolo tanto buio, un secolo dalle lunghe ombre, terribile per le sue violenze e per i suoi massacri. Le novità della scienza e della tecnica sono talvolta state messe al servizio della distruzione dell’uomo e di interi popoli. In certi momenti tragici si è smarrita ogni memoria dell’amore, del Vangelo, di Dio stesso.

Si pensi al primo olocausto del secolo: più di un milione di morti, nelle stragi degli armeni e dei siriaci nel corso della Prima guerra mondiale, massacrati perché cristiani. Si pensi ai morti durante la dittatura comunista in ex Unione Sovietica e al terrore staliniano. In Cina sono avvenute le stragi (e gli stupri) di Nanchino nel 1937, quando i giapponesi uccisero 200 mila cinesi, talvolta usandoli come bersagli per le loro esercitazioni militari. Ci sono state due terribili guerre mondiali. E, nel cuore della Seconda guerra mondiale, la Shoah, proprio in Europa, con la morte di sei milioni di ebrei (ma anche tanti altri morti: polacchi, zingari, russi...).


Profughi ruandesi in fuga dai massacri etnici del 1994.

Sempre durante la guerra non si può dimenticare il bombardamento atomico su Hiroshima e Nagasaki con 150 mila morti (il primo uso di quella bomba che resta tuttora una minaccia). I quasi trenta milioni di morti nelle carestie cinesi tra il 1958 e il 1962. Le violenze dei regimi autoritari in America latina e le guerre in Africa. La strage di un terzo della popolazione in Cambogia. La pulizia etnica nella ex Jugoslavia. I massacri in Ruanda. Un milione di morti nella guerra civile in Mozambico. Gli assassinii in Algeria... È un elenco incompleto appena allusivo. Ma si vede bene come il Novecento sia stato, per milioni di esseri umani, un secolo buio. Si è smarrita la memoria dell’amore, del rispetto dell’uomo e della donna.

Alla fine di questo secolo in cui si è affermata la democrazia, troviamo anche il bilancio di un secolo di terrore. Non si è trattato di un "secolo breve", come è stato definito: è stato un secolo lungo, per i suoi tanti dolori. Proprio morendo, negli anni Venti, il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Tichon, che la Chiesa ortodossa ha recentemente canonizzato, sembra abbia detto queste parole: «La notte sarà molto lunga e molto oscura». E alludeva alle persecuzioni staliniane contro la sua Chiesa.

Di fronte a uno smarrimento tanto profondo e tragico (e quelli citati non sono che alcuni esempi, ma se ne potrebbero ricordare tanti altri), un popolo di credenti, talvolta debole, non ha smesso di celebrare la memoria della passione del suo Signore e della sua risurrezione. Non è stato mai così buio che non si accendesse la piccola luce del cero della Pasqua. I cristiani non hanno mai smesso di ricordare che il Signore è stato trattato come il peggiore degli uomini e delle donne, pur essendo innocente: è stato trattato come tante decine di migliaia di esseri innocenti che hanno subìto violenza, tortura, condanna a morte.


Contadini cinesi all’epoca della "rivolta dei Boxer" (1900).

Il pastore tedesco Paul Schneider fu internato nel 1937 nel campo tedesco di Buchenwald, per la sua opposizione al nazismo, motivata dalla sua fede cristiana. Nel lager fu sottoposto a maltrattamenti e a torture particolari perché si rifiutava di rendere omaggio alla croce uncinata e a Hitler, all’idolatria dell’uomo, dello Stato e della razza germanica.

Dall’aprile 1938 fu rinchiuso in isolamento nel bunker del campo, dove trascorse i suoi ultimi quattordici mesi di vita. Dal bunker, tuttavia, attraverso una piccola feritoia non cessò mai di far sentire la sua voce per ricordare ai suoi compagni la presenza del Signore. Un compagno ha ricordato: «Tutte le mattine teneva per noi prigionieri una preghiera mattutina, e a causa di quella ogni volta veniva bastonato o torturato».

Un detenuto, deciso a gettarsi contro il filo spinato elettrificato per farla finita, ha raccontato di avere desistito da questa idea grazie alle parole del pastore Schneider. Il pastore richiamava la memoria dell’amore di Dio durante l’appello nel piazzale del campo: «In quel luogo di orrore e disperazione, si udì risuonare, sul piazzale in cui i ventimila prigionieri stavano allineati, una voce forte e chiara. Questa voce proveniva dalla feritoia d’una cella nel bunker: "Gesù Cristo dice: Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre"... Con quel grido mi ha salvato. Perché da quel momento io ho saputo: c’è Qualcuno al mio fianco!». Leonhard Steinwender, anch’egli internato a Buchenwald, ha ricordato: «La domenica di Pasqua, per esempio, improvvisamente udimmo le potenti parole: "Così dice il Signore: Io sono la risurrezione e la vita!". Le lunghe file dei prigionieri stavano sull’attenti, profondamente turbate dal coraggio e dall’energia di quella volontà indomita... Non poté mai pronunciare più che poche frasi. Poi sentivamo abbattersi su di lui i colpi di bastone delle guardie...».


Il pastore battista americano Martin Luther King


Il pastore protestante Bonhoeffer.


Padre Aleksandr Men, prete ortodosso russo ucciso nel 1990


Il pastore Paul Schneider, morto a Buchenwald.

La vicenda della persecuzione nazista, a cui facevo cenno, non è che un capitolo della storia del martirio nel Novecento. Ce ne sono altri: quello della persecuzione comunista sovietica, est-europea, albanese (in maniera tanto drammatica), ma pure quella del comunismo asiatico. In Asia, poi, proprio all’inizio del secolo i missionari e i cristiani autoctoni vengono uccisi perché identificati con l’Occidente, durante la rivolta dei Boxer, nell’estate del 1900. Ma questo avviene anche successivamente, durante la Seconda guerra mondiale, per opera delle truppe di occupazione giapponese.

Ma ci sono anche i caduti della persecuzione a sfondo religioso: si tratta di cristiani uccisi da musulmani, ma anche da buddhisti, buddhisti lamaisti o thailandesi, oppure vittime del fondamentalismo hindu. E infine va notata un’altra grande categoria di vittime, i cristiani martiri dell’amore, della carità, della giustizia. E questi sono innumerevoli.

Andrea Riccardi

Fonte: "Jesus", aprile 2004

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