RINGIOVANIRE IL VOLTO FINO AL SANGUE

“Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani” (Tertulliano) La Chiesa è nata dal martirio. Il libro dell’Apocalisse chiama Cristo Gesù il “Martire” che muore crocifisso come un malfattore e un anatema (Gv 19,6), un blasfemo e una minaccia per il popolo, secondo le parole di Caifa.

La storia della Chiesa ha scritto e scrive le sue pagine più eloquenti con il sangue dei martiri. La testimonianza del martirio è una delle caratteristiche della Chiesa da sempre. Dopo la Pentecoste, molti tra quelli che ascoltano la predicazione degli apostoli si convertono, ma inizia subito la persecuzione contro di loro. Minacciati, bastonati, incarcerati, non cessano di predicare in pubblico e in privato. Proprio così la prima comunità cristiana cresce e si rafforza. Tocca al diacono Stefano l’onore di essere coronato per primo con il martirio, e alla feroce “lapidazione” assiste anche Saulo, allora persecutore dei cristiani. Quella morte segna l’inizio di una spietata repressione che costringe molti a rifugiarsi nelle zone montagnose di Giudea e Samaria, altri a espatriare. Tra le vittime c’è Giacomo, fratello di Giovanni, che fu decapitato a Gerusalemme.

A Roma, dove vive una fiorente colonia giudaica in stretti rapporti con Gerusalemme, arriva presto la notizia di Gesù, forse portata da qualche transfuga. Nel 49 d.C. già si contano numerose comunità cristiane, quando l’imperatore Claudio ordina l’espulsione dei Giudei dalla città a causa dei “frequenti tumulti” che scoppiavano in nome di un certo Chresto”. Saulo/Paolo arriva nella capitale dell’impero verso il 61, “prigioniero a causa di Gesù”, e soggiorna in una residenza privata (oggi diremmo agli “arresti domiciliari”) fino al 63 ca. Viene decapitato nella persecuzione di Nerone, verso il 67. Anche Pietro, giunto nel frattempo, è crocifisso attorno al 64 o poco più tardi. Papa Clemente, nella lettera che scrive ai Corinzi verso l’anno 96, fa riferimento al martirio di Pietro e Paolo “colonne che lottarono fino alla morte”. È bello constatare come i discepoli di Gesù si vadano configurando al Maestro, lo imitino in vita e in morte, lo proclamino risorto e non esitino a pagare con la vita tale testimonianza. I motivi delle persecuzioni sono complessi. Roma tollerava varietà di culti e di riti perché ciò favoriva l’unità nella diversità, purché i popoli sottomessi aggiungessero ai loro anche il culto dell’imperatore e della dea Roma, come garanzia di fedeltà. Il rifiuto costituiva un atto sovversivo. Poiché per il giudaismo monoteista ciò costituiva un’empietà, gli Ebrei avevano ottenuto uno statuto speciale, valido anche nella diaspora.

Nerone perseguita i cristiani perché il loro proselitismo e il loro rigido monoteismo cominciano a preoccupare e, contrariamente ai giudei, essi fanno adepti di ogni razza, in tutte le città. Il loro culto, non godendo di speciale statuto, viene dichiarato illecito. Il grande incendio di Roma del 64 fornisce il pretesto all’imperatore che, accusato dall’opinione pubblica di averlo provocato per agevolare i suoi progetti urbanistici, scarica la colpa sui cristiani ed estorce false confessioni con la tortura. Tacito racconta l’orribile fine loro inflitta, ma giustifica la persecuzione: “Quegli individui erano detestati per i loro abomini”. Traiano legifera che si debba essere tolleranti con chi sacrifica agli dei e condannare gli irriducibili, solo se denunciati. Plinio il Giovane confessa di non aver scoperto nessuna delle mostruosità di cui erano accusati, ma considera il cristianesimo “superstizione malvagia e sfrenata”. La storia ci ha tramandato gli atti di parecchi martiri dei primi secoli: sant’Agnese, suppliziata verso la fine del terzo secolo, santa Cecilia, modello perfetto di donna, decapitata per aver scelto la verginità, il diacono Lorenzo, bruciato su una graticola sotto Valeriano...

Le persecuzioni non si limitarono ai primi secoli. Continuano anche oggi. Il secolo scorso è forse stato uno di quelli che hanno dato più martiri alla Chiesa. È conosciuto il caso di Massimiliano Kolbe nel campo di concentramento di Oswiecim, che offrì la vita in sostituzione di un padre di famiglia condannato a morte. Né possiamo dimenticare i martiri salesiani, i santi Luigi Versiglia e Callisto Caravario, i cinque giovani dell’oratorio di Poznan, quelli della guerra civile spagnola... Anche al presente la Chiesa è perseguitata, in alcune nazioni esplicitamente e in modo cruento, in altre con leggi restrittive. Dire cristianesimo è dire fraternità universale, impegno per la giustizia e la dignità di tutti gli uomini, specialmente i più deboli. Certo, il coraggio di opporsi e denunciare ingiustizie e sopraffazioni comporta l’emarginazione civile e sociale e, in certi casi, la persecuzione e la morte. Stando alla parola di Gesù, quando i credenti non sono perseguitati devono interrogarsi se non siano venuti meno al loro compito profetico. Chi non contesta le ingiustizie, chi non denuncia soprusi e abusi rischia di tradire il Vangelo. Una fede autentica va a braccetto con il martirio. I martiri, sia quelli canonizzati sia quelli non ufficialmente riconosciuti, sono la gloria della Chiesa, e punto di riferimento per i credenti, chiamati a rendere testimonianza della propria fede sempre e dovunque.

di Pascual Chávez Villanueva, rettore maggiore dei salesiani

Bollettino Salesiano - Giugno 2005

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